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Vorrei essere a righe (clic per video)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Identità

 

 

 

 

 

 

 

Una identità frammentata

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il dramma del viaggio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

POLITICA INTERNAZIONALE E DELLE MIGRAZIONI

Corso di Laurea magistrale in Storia e società 2020/2021

 

Gruppo 2: Analisi dell'identità migrante

 

Giacomo Cassanelli              g.cassanelli59@libero.it 

Paolo Aielli                            pao.aielli@stud.uniroma3.it          

Benedetta Berilli                   ben.berilli@stud.uniroma3.it

Chiara Anita Lodovina Toti  chi.toti2@stud.uniroma3.it

Alberto Palladino                   alb.palladino@stud.uniroma3.it

Posizione

Il Gruppo coordinerà al suo interno il lavoro di ciascuno, cercando di indirizzarlo in modo da approfondire l'identità migrante sotto due punti di vista:

come essa viene percepita al di fuori (in particolare dai cittadini italiani), e come viene percepita dal migrante stesso.

 

L'identità migrante (Giacomo Cassanelli)

Nella ricerca in Internet sull’argomento: “Come noi vediamo i migranti e viceversa”, mi sono imbattuto in questi articoli che trovo interessanti: 

http://www.progettosullasoglia.it/wp-content/uploads/2018/10/5.-perchè-odiamo-gli-immigrati.pdf 

In questo articolo di Sergio Cecchi viene evidenziato l’atteggiamento di paura, ostilità e sospetto nei confronti dell’immigrato, alimentato dai movimenti

che spingono per la “cacciata dello straniero”. Nella realtà si cela il classico ritorno del tema del “Caprio espiatorio”.

Temi discussi sui mass media, dibattiti e giornali sono i conflitti circa l’ingerenza nell’accesso al mercato del lavoro e alle risorse di protezione sociale.

Termini utilizzati: “invasione” e “difesa dei confini”,  e la cronaca enfatizza gli episodi “delinquenziali".

Secondo l’autore ci troviamo davanti all’immigrato “catalizzatore di rabbia” e svolgente la “funzione specchio” in una società in cui anche l’autoctono

ha difficoltà di integrazione sociale, rendendolo estraneo al mondo del lavoro ed alle garanzie welfare. Ciò alimenta il timore di divenire esso stesso

estraneo: idea che viene negata, rifiutando lo straniero.

L’autore si sofferma sul ruolo delle élite che cercano la loro legittimazione di autorità quali garanti nel controllo della società, e la costruzione del consenso.

Il pericolo per l’ordine pubblico derivante dal fenomeno migratorio viene enfatizzato, sempre secondo l’autore per celare le contraddizioni di un sistema

neoliberale che genera disuguaglianza economica. Il migrante “capro espiatorio” devia lo scontento della popolazione. Avere a disposizione qualcuno

a cui addossare le responsabilità circa le problematiche sociali è una buona opportunità: gli immigrati si prestano molto bene all’infausto ruolo di

“capro espiatorio”.

L’autore si sofferma sul fatto se sia vero o meno che l’immigrato reca danno e “ruba il lavoro”, pervenendo ad una risposta esattamente contraria.

Il lavoro degli immigrati, di fatto, contribuisce a mantenere basso il prezzo di prodotti e servizi offerti ai consumatori. Lavoro “nero”, “grigio”

o comunque irregolare nei servizi, ristorazione, costruzioni, trasporti, commercio e manovalanza, permettono costi bassi di produzione ed a volte

facilitano lo stesso inserimento degli autoctoni in alte attività non certamente irregolari.

 https://www.eumetramr.com/society-politics/lopinione-degli-italiani-sullarrivo-degli-immigrati/

In questo articolo viene riportata una situazione statistica circa l’opinione e l’atteggiamento degli   italiani sull’arrivo dei migranti:

respingimento, accettazione o accettazione limitata numerica.

https://www.cartadiroma.org/wp-content/uploads/2014/10/Bravi-se-ci-servono-ecco-gli-immigrati-visti-dagli-italiani.pdf

In questo articolo tratto dal “Venerdì di Repubblica” (ottobre 2014) viene riportata la percezione che si aveva sullo straniero espressa

in una specie di graduatoria di gradimento circa le caratteristiche di laboriosità ed onestà attribuita agli immigrati secondo la loro nazionalità.

https://www.t-mag.it/2012/07/12/i-migranti-visti-dagli-italiani/

In questo articolo viene riportata una situazione statistica su opinioni e giudizi degli italiani circa aspetti riguardanti i rapporti,

l’inserimento, la discriminazione, l’atteggiamento, il comportamento, la cultura ed il lavoro degli immigrati.

https://www.repubblica.it/online/societa/immigrazione/immigrazione/immigrazione.html

In questo articolo di Repubblica, risalente all’anno 2000, quindi non recente, vengono riportate singolari opinioni di immigrati (specialmente

di fede Islamica) di come essi vedono gli italiani secondo le differenze culturali: famiglia, donne, figli, materialismo e consumismo pervasivo.

Essi si sentono penalizzati in campo abitativo, bancario, sanità e giustizia.

https://hamelin.net/wp-content/uploads/2014/02/hamelin35_Mimmo_Perrotta.pdf I

In questo articolo l’autore Mimmo Perrotta cerca di rispondere alla domanda: “Chi è il migrante?”. Viene evidenziata l’opinione del sociologo algerino

A. Sayad, secondo il quale l’immigrazione è generalmente considerata una “colpa”, una specie di tradimento che il migrante attua ai danni del suo gruppo

di origine abbandonandolo.

Ma è considerato colpevole anche nel paese di arrivo poiché è un estraneo. Il migrante, quindi, è portato a giustificarsi sia presso i suoi connazionali che

presso i cittadini del paese di arrivo. Ai primi dovrà dimostrare che si sta sacrificando, i secondi, invece dovrà convincerli che egli rimarrà solo fino a quando

avrà la possibilità di lavorare, oppure che provvederà ad integrarsi completamente.

Il migrante è visto dagli autoctoni come un problema poiché egli non è un turista, ma è arrivato per restare. L’incontro con una cultura differente pone

l’autoctono davanti al fatto poco accettato che la propria cultura non è assoluta, è solo una delle tante. L’autoctono prova fastidio per il comportamento

del migrante, poiché gli sembra che lo tenga sott’occhio, lo guardi e lo studi: ma in realtà il migrante vuole solo apprendere, per poi apparire meno straniero. 

Categoria a parte sono i “transmigranti”, coloro i quali rimangono legati al paese di origine, hanno in progetto di tornarvi, anche periodicamente,

e utilizzare lì il denaro guadagnato. Essi vivono in due mondi, con la prospettiva o di avere successo o di perdersi in entrambi.I

I migranti in genere si distinguono in “migranti economici” e “migranti politici”; una suddivisione dai contorni sfumati. Le cause dell' immigrazione

sono molteplici, di fatto la grandissima maggioranza dei migranti varca i confini in modo illegale, in modo pericoloso ed a volte a costo della vita.

In ogni caso quelli che ci riescono sono emarginati, sfruttati, criminalizzati. L’autore Perrotta pone l’accento sulla “orrenda” parola clandestini,

che di fatto è il termine maggiormente utilizzato per i “migranti irregolari”, quelli cio che non hanno il permesso di soggiorno. La difficoltà di poter

ottenere l’idoneo atto amministrativo li porta a cercare di restare di nascosto oppure procurarsi un visto turistico che alla scadenza, però, li trasformerà

in “irregolari”.

Gli immigrati vengono definiti anche come “extracomunitari”: termine esatto, ma con accezione negativa: infatti, nessuno lo usa per gli svizzeri,

gli statunitensi  o gli australiani, che “tecnicamente” sono extracomunitari anche loro.

Spesso si parla del “problema immigrazione” collegandolo alle questioni “sicurezza” e “risorsa economica”. È noto che i migranti accettano i lavori

che gli italiani non vogliono fare. Spesso si preferisce sorvolare sulla nazionalità e ci si esprime in termini come etnia, che è una costruzione di natura

coloniale, o di comunità che ha un connotato sì positivo, ma che accomuna indiscriminatamente tutti: esempio “comunità cinese” comprende sia l’operaio

che l’imprenditore, in contesti dove si formano casi più di sfruttamento che di solidarietà. Questo ragionare per stereotipi porta inevitabilmente a

semplicistiche conclusioni: se una signora marocchina cucina il “couscous”, tutte le signore marocchine cucinano il “couscous”, se un rumeno ruba,

allora tutti i rumeni rubano.

In conclusione l’autore estende i danni della stereotipizzazione anche ai figli dei migranti, nati in Italia e che migranti quindi non sono. Non sono migranti,

ma rimangono degli stranieri. Il paradosso è che sono stranieri anche nel paese di origine dei genitori. Essi sono nati altrove e non conoscono i costumi

e spesso persino la lingua di quel paese.

https://www.exagere.it/identita-in-viaggio-i-bambini-e-gli-adolescenti-migranti-tra-appartenenza-e-diversita/

Un interessante collegamento con il tema conclusivo dell’articolo di Mimmo Perrotta si rileva in questo articolo di Francesca Rifiuti, pubblicato sulla

Rivista EXagere, che tratta di ciò che l’autrice chiama “Identità in viaggio” di bambini ed adolescenti migranti.

 L’articolo procede da una premessa che delinea la costruzione di identità riferita alla infanzia ed adolescenza nei contesti di migrazione, attraverso un

sistema culturale di valori che procede sia in via verticale (da una generazione all’altra, dai nonni e dai genitori) sia in via orizzontale (interazione

con i pari). In tali contesti si sviluppa l’autoidentificazione etnica con i connotati affettivi di appartenenza ed i comportamenti tipici che derivano

dall’identificazione con il gruppo etnico stesso. L’individuo possiederà una identità culturale all’interno di una identità sociale quale membro di un

gruppo. Essa rispecchierà sia la cultura del gruppo (valori, usanze etc.) che la personalità individuale risultante dalle esperienze di vita personale.

L’identità prende forma anche con l’interazione con l’Altro ed è un processo e non un dato.

Il migrante è in una posizione instabile, vive un “disequilibrio”, non è del tutto nel paese ospitante ma non è rimasto in quello di provenienza. Si trova

in una posizione alquanto scomoda: oscilla tra due culture, due lingue, tra passato e presente, tra speranza e paura, tra la stabilità del nuovo paese

e la sua personale transitorietà in quanto ospite. Il processo di integrazione si rivela lungo e difficile e richiede sforzo costante.

In genere bimbi ed adolescenti nelle loro esperienze scolastiche si rendono conto di essere una minoranza e desiderano aggregarsi alla maggioranza

compiendo un graduale distacco dalla famiglia.

In tal modo si rischia una costruzione dell’identità per assimilazione come se i figli dei migranti fossero identici ai corrispondenti “nativi”, senza però

esserlo. In tal modo una parte della loro identità originaria verrebbe così dimenticata. Invece occorrerebbe preservare ogni sfumatura identitaria perché

non vengano rimosse dalla memoria. Sarebbe auspicabile un processo di integrazione, ma vige sempre la paura di venire “contaminati” dallo straniero.

Anche i genitori contribuiscono al pericolo di questa perdita: essi che hanno vissuto il trauma della migrazione preceduto da altri traumi, intendono ora

proteggere i loro figli dal racconto stesso della migrazione, privandoli così di questa narrazione, se non per il fine di evitare ad essi l’insorgere di nostalgia,

sofferenza e vergogna.

Ma essi hanno bisogno di sapere; rimanere nell’oscurità, vivere nel silenzio il trauma, porta difficoltà nella costruzione serena della propria identità.

Poter conoscere la propria storia è una opportunità di scambio di esperienza con i propri coetanei del paese ospitante. I ragazzi sono sempre curiosi

di conoscere le storie di chi giunge da lontano. È un’occasione di scambio di storie tra due mondi.

 In conclusione l’autrice auspica un buon processo di integrazione che consenta ai figli dell’immigrazione di mantenere il proprio senso di identità

stando di qua, ma “rimanendo in parte di là”.

Vedi anche:

Perché odiamo gli immigrati

Opinioni degli italiani sull'arrivo dei migranti

Bravi se ci servono

I migranti visti dagli italiani

Gli italiani? Consumisti e succubi delle donne

Identità in viaggio

 

Il dramma del viaggio  (Chiara Anita Lodovina Toti) 

E l’uomo vale più di un asino

Ancora oggi il fenomeno dell’immigrazione in Italia è estremamente sottovalutato e perno di numerose convinzioni infondate, pertanto occorre far luce sul lato

umano e drammatico che guida le scelte e le vite di coloro che, malgrado l’attaccamento alle proprie radici, accettano di fuggire alla ricerca di nuove prospettive, inconsapevoli di ciò che li aspetta.

Le testimonianze raccolte dagli autori del libro “Come un uomo sulla terra”, descrivono gli anni che intercorrono tra il 2005 e il 2009, nonché gli anni decisivi

per l’inizio dell’emigrazione africana, più precisamente i fuggitivi provenienti dal Corno d’Africa, verso l’Italia. Si tratta di gruppi di giovani tra i 17 e i 26 anni

che partono dall’Etiopia affrontando viaggi in condizioni di durezza fisica, attraversando il deserto e il mare, subendo sfruttamenti e violenze, trattati come

schiavi sino ad essere resi soggetti passivi e subordinati. Ogni partenza, inclusa quella dalla capitale etiope, Addis Abeba, prevede delle regole:

  • Non viaggiare con i propri familiari;
  • Comunicare la partenza solamente agli amici più stretti;
  • Non salutare le persone più care il giorno della partenza;
  • Avere soldi a disposizione;
  • Determinazione;
  • Autocontrollo durante il viaggio;
  • Avere pazienza in previsione delle lunghe attese o degli imprevisti;
  • Saper scegliere i propri intermediari;
  • Tenere costantemente la testa alta evitando di fidarsi ciecamente del prossimo;
  • Poter contare su qualcuno di cui ci si fida, per esempio un amico con cui si è partiti.

Come dimostrato dall’elenco che descrive l’organizzazione e il funzionamento del viaggio, la loro decisione di andare altrove è avvolta da un alone di incertezza

sin dall’inizio. I giovani di Addis Abeba dopo aver maturato l’idea che il loro futuro è destinato a morire, se non addirittura a non vedere mai la luce, si mettono

in contatto con persone che gli promettono di poter raggiungere la meta con circa 250/300 dollari omettendo i costi aggiuntivi per il passaggio da una meta

all’altra così come viene omesso che non sarà un viaggio diretto. Una volta assaporata la possibilità di essere liberi, questi giovani si mettono in moto per

raccogliere il denaro di cui hanno bisogno e ottenere una lettera scritta dai ragazzi arrivati in Italia prima di loro in cui vengono riportate informazioni e

accorgimenti da seguire. Il viaggio in gruppo ha inizio e da quel momento nessuno avrà più notizie di loro. Le uniche informazioni arrivano dai migranti

bloccati sulle coste libiche in attesa di poter riprendere l’attraversata verso l’Europa e in ogni caso sono informazioni vaghe e incerte, ma soprattutto oggetto

di cambiamenti repentini in quanto ogni viaggio dipende dalle condizioni esterne. Le uniche regole valide sono la determinazione e lo spirito di sopravvivenza.

La lettera prima citata non avrà quindi alcun valore.

Esperienze e testimonianze

Veniamo ora a ciò che accade durante quest’interminabile fuga verso l’illusione di condizioni di vita più agiate e sicure. Occorre ricordare che il viaggio è diviso

in tratte. In qualunque territorio essi arrivino devono imbattersi nei dallala o mediatori, come gli agenti di polizia, che li arrestano e li liberano in continuazione

senza dar loro una spiegazione, sottoponendoli a violenze fisiche e psicologiche con il solo obiettivo di ridurli a schiavi, esseri umani privati dei loro diritti in

quanto tali e quindi soggetti alienati senza più alcun desiderio e volontà. Il percorso migratorio muta il suo scopo trasformandosi nel mezzo alleato delle

organizzazioni criminose responsabili dell’economia di rapina stop and go.

(cfr. Documento completo)

Il dolore del viaggio in seconda battuta

Una volta giunti a destinazione, il viaggio non è terminato, un sospiro di sollievo non può ancora essere tirato. Anzi, forse è solo l’inizio di un incubo che

difficilmente riuscirà a rimarginarsi in tempi brevi, senza l’aiuto di specialisti e soprattutto ripristinando la condizione originale dell’uomo o della donna che hanno richiesto asilo. Le violenze subite, verbali e/o fisiche, si trasformano in ricordi incancellabili che con l’andare del tempo diventano sempre meno vividi

ma non scompaiono, diventano infatti mostri da combattere. Questi ultimi possono assumere denominazioni differenti: nevrosi, autolesionismo, stress

post-traumatico e tentativi di suicidio.

(cfr. Documento completo)

 

Aspetti di statistica

Di seguito una prima traccia che si vorrebbe sviluppare per l'analisi statistica della immigrazione in Italia al fine di tracciare

"un profilo identitario di carattere quantitativo":

Il 26 ottobre di questanno l'ISTAT ha pubblicato i dati sui cittadini non comunitari in Italia relativi agli anni 2019-2020 che ammontano a 5,3 milioni circa;

sempre secondo l'ISTAT nel 1981 non superavano le 100 mila unità: nell'arco, quindi di 40 anni, il fenomeno ha assunto una grande rilevanza

tanto da rappresentare ormai più dell'8% della popolazione che vive in Italia.  Per svolgere qualsiasi tipo di analisi di un fenomeno così rilevante

e complesso è essenziale cercare di orientarsi tra le diverse fonti disponibili di carattere ufficiale o semplicemente curate da indagini più locali

svolte da enti ed associazioni.

Gli aspetti che si cercherà di analizzare sono i seguenti:

  • fonti e dati ufficiali italiane comunitarie: periodizzazione e caratteristiche;
  • le principali analisi quantitative;
  • principali aspetti caratterizzanti: aspetti demografici, minori, residenza, lavoro, salute;
  • alcune considerazioni sulla consistenza tra la situazione della immigrazione e le politiche adottate                                                                                                          con particolare riferimento a quelle della prima assistenza ed all'inserimento;
  • un'appendice dedicata ai dati sui Permessi di Soggiorno, alle procedure in essere ed alle modalità di erogazione.

 

Fonti statistiche e dati per la definizione della “identità”   (Paolo Aielli)               

 

Premessa                                                                                            

 

L’obiettivo del gruppo di lavoro sulla identità dei migranti nell’ambito del Corso di Politiche dell’Immigrazione è quello di analizzare degli essenziali aspetti

di carattere antropologico, psicologico, economico e sociologico. Si è ritenuto utile, in questo quadro, fornire anche un insieme di informazioni statistiche

che possano definire una “fotografia”, il più possibile obiettiva, della situazione di fatto. Infatti, troppe osservazioni, affermazioni, opinioni si basano su

caratteristiche e dimensioni del fenomeno assolutamente infondate. Manca cioè nel dibattito e peggio ancora nelle politiche quel “dato di realtà” che

permetterebbe all’Italia, come forse ad altri paesi, di affrontare in modo più adeguato e coerente ai principi teorici dello stato di diritto che dichiarano

di essere ed alle persone di avere una visione più reale di chi sono, quanti sono e cosa fanno queste persone che chiedono di vivere e lavorare nel nostro paese.

(vedi Documento completo)

Uno dei casi più noti descritti da Oliver Sacks (Vedere e non vedere in “Un antropologo su Marte” Adelphi 1995) è la storia di un uomo al quale dopo anni

di cecità venne ridata la “funzione visiva”, ma per “vedere”, Mr. Virgil, questo il nome del paziente, continuava a non usare gli occhi. Così sembra l’Italia dopo

essere diventata un paese a forte immigrazione da oltre 40 anni perché sembra che continui a non essere capace di “vedere” dimensioni, caratteristiche, impatti

sociali ed economici di un fenomeno, quello degli stranieri in Italia, che ha raggiunto quasi il 10% della popolazione. Anche i numeri parlano, ma a volte è faticoso leggerli, interpretarli, capire che dietro di essi ci sono persone, realtà complesse, dinamiche relazionali; molto meno faticoso, invece, è immaginare, costruire

significati, inventare realtà ed ossessioni. Ecco allora perchè una parte del lavoro del Gruppo 2 sulla identità è stato dedicato alla raccolta e alla illustrazione

di alcuni “indicatori” fatti di numeri assoluti e “ratios”.

(vedi Documento completo)

 

L’idea dell’Altro in relazione ai fenomeni di migrazione umana (Alberto Palladino)

Nello svolgimento del corso a cui s’intesta il presente scritto è emerso con innegabile chiarezza l’interrogativo basilare della questione attorno all’identità

dell’elemento “migrante” sopratutto in relazione ai due poli entro cui si sviluppa la sua esperienza. Il polo di partenza, con il suo bagaglio culturale, le

sedimentazioni sociali e l’eredità etnica e quello d’arrivo con esattamente gli stessi elementi strutturali ma di segno opposto, potremmo dire, visti all’inverso.

Il terzo elemento di questa mutazione è, di fatto, l’atto stesso della migrazione, che indipendentemente dalla modalità con cui viene compiuto determina

delle forze che inevitabilmente operano sul processo di definizione e ri-conoscimento dell’Essere “migrante” rispetto al Sé stesso.

Seguendo l’analisi di Tajfel e Turner, evidenziata nello scritto di Francesca Rifiuti , 1 «l’identità etnica - che costituisce la succitata eredità - è legata ad

un’attribuzione di valore dai connotati emotivi verso la propria appartenenza ad un gruppo specifico». Un concetto che agisce e reagisce in cooperazione

con quello di identità culturale con cui si omogenizza in 2 un processo costante di generazione e rigenerazione. Tuttavia il problema, intimamente legato alla fenomenologia della migrazione umana, si pone nel momento in cui l’Essere “migrante”, carico di questo bagaglio identitario, valica i confini, fisici o

metafisici dello spazio etnico. Irrompe, per così dire, in una nuova, diversa, “bolla” identitaria.

Nel tentativo d’analizzare la questione dello spazio delle identità non si può ignorare l’etimologia dei due termini che meglio intervengono nella costruzione

di un Limes di significato tra ciò che si riconosce come “Nostro” e ciò che si riconosce come “dell’Altro”. Ethos ed Ethnos, in cui quest’ultimo,  'popolo',

'nazione' è «una comunità caratterizzata da omogeneità di lingua, cultura, tradizioni e memorie storiche, stanziata tradizionalmente su un determinato territorio»

ed Ethos, soggiorno abituale, 4 abitazione, ma anche, consuetudine, abitudine, uso, costume, modo di parlare e d'agire, carattere, indole.

Potremmo altresì aggiungere che se l’Ethos può farsi “nazione” e “popolo” anche in assenza di uno spazio, o in assenza di un territorio uniforme (Nation

of Islam; Nazione Cherokee; l’Aryan Nation) uno spazio umano non si farà Ethnos senza che si riconoscano come fondamentali gli elementi d’innesco

dell’identità culturale sublimati dall’Ethos . Una sorta di 5 dualismo tra software e hardware in cui le due entità conservano un comune spazio di lavoro

pur rappresentando funzioni operative differenti.

(vedi Documento completo)

 

L’immagine dei migranti secondo gli italiani (Benedetta Berilli)

Il fenomeno dell’immigrazione in Italia non è un fenomeno del tutto recente, come invece la maggior parte degli italiani può pensare. I primi flussi migratori

veri e propri sono stati infatti registrati negli anni successivi alla fine della Seconda guerra mondiale. Tuttavia, inizialmente c’è stata una mancanza di interesse

da parte del governo italiano che ha portato ritardi nella creazione di legislazioni ad hoc e ha segnato un forte impatto sull’opinione pubblica. 

Prima dei due conflitti mondiali, la presenza di stranieri in Italia era alquanto limitata e si è successivamente inaridita con l’avvento delle prime leggi raziali.

Lo straniero era visto come una minaccia. Emarginato e discriminato, gli era negato ogni sorta di diritto ed era tenuto costantemente sotto controllo.

La situazione cambiò solamente dopo la Seconda guerra mondiale, quando nella Costituzione italiana furono sanciti principi di non discriminazione e di

assicurazione dei diritti umani. Nel periodo postbellico la maggior parte degli immigrati erano sfollati, ex prigionieri e profughi ebrei che attraversavano

l’Italia per arrivare in Palestina o negli Stati Uniti. Nel corso degli anni ’60 e ’70 del Novecento, il boom economico attrasse un numero ancora più grande

di migranti: stranieri e lavoratori provenienti principalmente dalle ex colonie italiane. Anche il Friuli e la Sicilia videro arrivare migranti provenienti dagli stati

confinanti. Alla fine degli anni ’70 si presentarono molti esuli richiedenti asilo, in fuga dalle dittature latinoamericane.

Il numero degli stranieri in Italia continuò a crescere negli anni successivi fino a quando, solo nel 1986, fu emanata la prima legge sull’immigrazione

(legge Foschi https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1987/01/12/086U0943/sg ). Tuttavia, nel paese il tema dell’immigrazione non aveva ancora preso grande

visibilità a livello sociale e gli immigrati lavoravano maggiormente nel settore agricolo e domestico. Tale situazione rispecchiava una sottovalutazione del

fenomeno migratorio. Tra il 1989 e il 1998 si assiste alla nascita dei primi movimenti antirazzisti e di nuove leggi riguardanti l’immigrazione

(legge Martelli https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1990/02/28/090G0075/sg e la legge Turco- Napolitano https://www.camera.it/parlam/leggi/98040l.htm).

In questo periodo l’opinione pubblica non osteggia l’immigrazione e vengono offerti aiuti ai rifugiati da parte di alcune fasce della società.

Nel 2001 l’immigrazione si pone al centro del dibattito politico, avendo superato il milione il numero di migranti in Italia. Nel 2009 gli stranieri in Italia sono

4,5 milioni. Nel 2011 si verifica l’inizio dell’ultima ondata migratoria proveniente dal Nordafrica e dal Medio Oriente. L’ alternanza di coalizioni opposte al

governo nel corso degli ultimi anni ha portato a tentativi di rovesciamento delle politiche sull’immigrazione. Da una parte si trova il centro sinistra che tende

a promuovere l’integrazione e vuole assicurare agli immigrati in Italia diritti al pari dei cittadini italiani. Dall’altra il centro destra che ha timore per la sicurezza

del paese e promuove il mantenimento dell’identità nazionale. Ma cosa pensano i cittadini italiani degli immigrati?

A tal proposito risulta utile analizzare l’indagine ISTAT del 2011 I migranti visti dai cittadini, la prima indagine ufficiale condotta sul tema della discriminazione.

Da essa emerge che la maggior parte degli italiani (in media tra il 60 e l’80 per cento), entrati in contatto con immigrati tramite esperienze dirette, sono

dell’opinione che gli immigrati in Italia siano trattati meno bene rispetto agli italiani, che trovino difficoltà di inserimento nella vita sociale del paese e che

abbiano meno opportunità lavorative e di alloggio, soprattutto se donne. La stessa percentuale di cittadini italiani condanna la discriminazione che tali immigrati subiscono in ambito scolastico e lavorativo, pur essendo comunque diffusa l’opinione che gli italiani debbano avere la precedenza quando si tratta di accesso

al lavoro e attribuzione di alloggi popolari. Inoltre, la maggioranza degli intervistati ritiene che la presenza degli immigrati in Italia sia una cosa positiva, in quanto

essi sono disposti a svolgere lavori che gli italiani non vogliono e portano multiculturalismo all’interno del Paese. Si ritengono inoltre favorevoli all’integrazione

di stranieri nelle scuole tramite un’equa distribuzione all’interno delle varie classi e anche al riconoscimento di cittadinanza per i figli di immigrati (la cosiddetta

seconda generazione) e per quelli che ne fanno richiesta dopo aver trascorso alcuni anni in modo regolare in Italia. L’indagine mostra dunque una certa apertura

da parte dei cittadini. Tuttavia, questi si dimostrano bendisposti verso i migranti solo fin quando non si parla di matrimoni misti nel proprio nucleo familiare o di

aperture di nuovi luoghi di culto all’interno del proprio quartiere. Per la maggior parte infatti creerebbe problemi un eventuale matrimonio di un membro della

famiglia con un immigrato, soprattutto se Rom/Sinti.  In più, alcuni pensano che il numero di immigrati in Italia sia troppo elevato e che immigrazione sia sinonimo

di degrado urbano, criminalità, violenza e problemi di ordine pubblico. Questi elementi sono attribuiti soprattutto ad alcune nazionalità, in particolare quelle

presenti in numero maggiore su suolo italiano (rumena, albanese e marocchina). Una discreta discriminazione è indirizzata anche ad alcuni credi religiosi, come

quello musulmano, ed è basata in gran parte sulla paura della perdita dell’identità nazionale, essendo l’Italia un paese a maggioranza cattolica. Il 60% degli

italiani dunque si rivela diffidente nei confronti degli immigrati e i cittadini che hanno mostrato una maggiore apertura in tutti i temi affrontati sono i giovani,

soprattutto donne, e i residenti nelle regioni del centro Italia. 

Analizzando articoli e ricerche più recenti, emerge tuttavia un quadro non troppo positivo riguardo l’immigrazione vista dai cittadini italiani. Ad esempio, nel 2017

il popolo italiano è stato definito quello meno tollerante di tutta l’Europa occidentale. Si denota una crescente negatività rispetto agli anni precedenti.

La maggior parte degli italiani infatti sostiene che l’immigrazione renda il paese peggiore. Le motivazioni di tale pensiero potrebbero celarsi dietro al fatto che

in Italia quello dell’immigrazione è un problema più grande rispetto agli altri paesi europei o perché è sempre stato un paese di passaggio. Inoltre, molti italiani

sono dell’opinione che molti richiedenti asilo non siano effettivamente in pericolo di persecuzione nel proprio paese di origine. Dagli studi condotti si evince una

generale disinformazione dei problemi e delle conseguenze dell’immigrazione. La maggior parte degli italiani pensa che questa sia una delle principali cause di

povertà nel paese, quando in realtà le cifre spese in ambito dell’accoglienza di migranti sono nettamente inferiori a quelle per evasione fiscale o per corruzione.

Gli immigrati sono anche ritenuti la principale causa di criminalità in Italia, quando spesso questi commettono reati minori o sono sfruttati dalla criminalità

organizzata italiana.

D’altro canto, un barlume di speranza rimane nelle nuove generazioni di italiani, i quali dimostrano più apertura e una visione più critica e ragionata della

situazione, nonostante siano quelli che più soffrono, e soffriranno, della crisi economica in corso. Essi dimostrano di accettare positivamente il multiculturalismo

come conseguenza di questo fenomeno, ma rimangono preoccupati per l’aumento della criminalità e dei disagi.

https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2018/10/10/storia-immigrazione-italia

https://www.treccani.it/enciclopedia/le-politiche-di-immigrazione-in-italia-dall-unita-a-oggi_%28Dizionario-di-Storia%29/

https://www.istat.it/it/files/2012/07/migranti2011.pdf?title=I+migranti+visti+dai+cittadini+-+11/lug/2012+-+Testo+integrale.pdf

https://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2019/10/16/news/la_voce_del_web_attribuisce_al_65_la_colpa_della_poverta_in_italia_ai_migranti_e_ai_politici-238710000/

https://www.infodata.ilsole24ore.com/2019/03/30/cosa-pensano-gli-italiani-degli-immigrati-gli-europei/?refresh_ce=1

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/02/20/il-grande-male-dellitalia-sono-gli-immigrati/4171286/

https://www.infodata.ilsole24ore.com/2018/09/16/gli-italiani-davvero-popoli-piu-intolleranti-deuropa-sondaggio/

https://www.rapportogiovani.it/i-giovani-e-limmigrazione/

 

L’immagine degli italiani secondo i migranti (Benedetta Berilli)

L’opinione degli italiani riguardo i migranti è dunque molto chiara ed è spesso ribadita in giornali, riviste, programmi televisivi e social media. Tuttavia, non

è affatto facile scoprire cosa i migranti pensano degli italiani. Evidentemente non è un argomento di grande interesse per l’opinione pubblica, forse perché

i migranti sono considerati l’ultima ruota del carro nella piramide sociale, pur essendo quotidianamente al centro del dibattito politico. Eppure, ricevere un

feedback sul nostro modo di porci con gli stranieri potrebbe essere di grande utilità per poter indirizzare la nostra nazione sulla via dell’integrazione e

dell’accoglienza. Ma non è facile capire cosa pensano. La maggior parte di loro arriva qui per trovare un lavoro che gli permetta di sfamare la propria famiglia,

o perché non sono più al sicuro nel loro paese e sognano una vita migliore. Molti dunque non vogliono o non possono tornare a casa propria, perciò sono restii

a dare un’opinione sincera dell’Italia e degli italiani. Il materiale sull’argomento è scarso, ma dal poco reperibile emerge che la maggioranza di migranti nel

nostro paese conosce quasi perfettamente l’italiano, grazie alla scuola o al lavoro, e conosce le istituzioni (ad esempio sa qual è la capitale e chi è il presidente

della Repubblica). Pensano che gli italiani siano grandi lavoratori, ma che al tempo stesso amino la bella vita e che siano corrotti. Riguardo la gestione dei

migranti da parte del governo sono dell’opinione che sia troppo semplice entrare in Italia e che ci sarebbe bisogno di norme più restrittive per quanto riguarda

la criminalità. Tutti pensano che l’iter per ottenere la cittadinanza dovrebbe essere facilitato, soprattutto per le seconde generazioni. Per questi ultimi è una

questione particolarmente difficile, si sentono pienamente italiani, sono cresciuti qui, hanno legami e radici, ma comunque non sono del tutto integrati.

Combattono contro il pregiudizio e per avere pieni diritti nel paese in cui vivono e che sentono loro.

oooo

http://www.fondazioneleonemoressa.org/2014/07/27/cosa-pensano-gli-immigrati-degli-italiani/

https://www.lastampa.it/esteri/2017/07/09/news/come-i-migranti-vedono-gli-italiani-1.34448880

https://www.youtube.com/watch?v=xHpeSndZyV0

 

Storia di Michele  (Chiara Anita Lodovina Toti)

Roma, piazza del Catalone di Borgo Pio (nei pressi del Vaticano), domenica 29 novembre 2020:  dopo una ricerca lunga ed estenuante, che mi ha permesso

di conoscere ancora più a fondo il dolore negli occhi di uomini e donne immigrati che per paura si sono rifiutati di parlare, ho trovato Michele. Michele è nato

in Grecia, infatti il suo nome in origine era Vasilio, ha 52 anni ed è arrivato in Italia nel 1998. Prima di dare inizio alla narrazione della sua vita e delle sue

esperienze, tutt’altro che piacevoli, mi ha scrutato con occhi impauriti e induriti dal tempo. Alla fine, dopo aver spiegato il perché fossi lì, parlando il più

sinceramente possibile, ha deciso di fidarsi e mi ha permesso di accedere al suo dolore e alla sua frustrazione.

Dunque, Michele è nato nel 1968 in Grecia ed ha scelto di venire in Italia, non in veste di vacanziere, ma per sfuggire alla disastrosa situazione economica in cui

l’aveva lasciato la madre. Racconta di un genitore che non ha adottato stessi pesi e misure nel trattamento dei propri figli, spartendo i suoi beni solo tra alcuni

di questi, ed escludendo, tra gli altri, lui. Per questo motivo Michele ha scelto di riprendere in mano la sua vita e cercare fortuna altrove. La prima tappa è stata

l’ex Iugoslavia, dove lavorava come muratore guadagnando lo stretto necessario per non condurre una vita di stenti, per potersi sfamare ed avere un tetto

sulla testa. Un giorno incontra un ragazzo, di origine romena, che come lui era alla ricerca della sua strada e gli propone di partire con lui per l’Italia, “la terra

promessa, mi dicevano” riferisce Michele. La partenza verso la penisola era prevista per il 25 dicembre, sul ponte di una nave e con pochi averi che non gli permettevano di coprirsi dal gelo tagliente, per cui ha trascorso tutto il viaggio al riparo in un armadio. Dopodiché, una volta sbarcato a Bari affamato, decide

di investire gli unici soldi che aveva, poche lire, per comprare pane e salame in un alimentari. Rimasto con poco o niente comincia a vagare per la città fino a che

non incontra un certo Tiziano che, vedendolo spaesato, gli offre una sigaretta e la prospettiva di un futuro migliore che albergare sulle panchine. Il giovane

Vasilio si sarebbe dovuto occupare della cura dei cavalli di una campionessa di equitazione e in cambio, oltre allo stipendio, avrebbe potuto dormire in una roulotte

senza pagare bollette. Finalmente Michele ha una casa dove dormire e un lavoro a cui dedicarsi. Tutto idilliaco se non fosse stato per lo sfruttamento, visto lo

stipendio minimo, e il quantitativo di ore extra a cui era sottoposto. Dopo un breve periodo che gli permette di assestarsi, Michele decide di andare per la sua strada. Lascia il lavoro, scappa e prende un treno verso Roma senza biglietto, nascondendosi tra bagno e corridoi per sfuggire ai controllori.

Una volta giunto a Roma, dopo un poco riesce a trovare un lavoro come fabbro nella zona di Borgo Pio e anche una stanza dove appoggiarsi, in casa del suo datore. Tutto procede per il meglio, Vasilio si dà da fare più che può per svolgere egregiamente i lavori richiesti, sino a quando non interviene il figlio del suo datore, un

certo Lorenzo, che per paura che il padre lasci tutto al suo dipendente, ormai uomo di fiducia e affezionato a lui come un secondo figlio, picchia il padre e caccia

Michele. Michele è di nuovo in mezzo a una strada, ma questa volta decide di non continuare a sfidare la sorte e finire nelle grinfie di altri “sfruttatori”, come

li ha definiti lui stesso. E decide che la sua nuova casa sarebbe diventata la strada.

A questo punto comincia a fissare il vuoto e noto che gli occhi cominciano a diventare lucidi, tanto che prima di continuare mi dice “non è facile per me ricordare

tutto questo”. Dopo qualche secondo, in cui ho atteso senza alcuna pressione per far sì che riprendesse a parlare, continua raccontando un episodio. Una sera,

mentre passeggiava per raggiungere il suo letto (ossia un mucchio di coperte che lo dividono dal suolo), nota che alcuni ragazzi stavano tentando di rubare una

smart, quindi lancia loro un urlo dicendo “oh state boni andate via”. I tre si voltano, staccano un palo di quelli che reggono le segnaletiche per strada e gli corrono incontro cominciando a massacrarlo di botte. Gli hanno rotto mandibole, denti e avambracci con cui aveva tentato di difendersi. Michele continua raccontando

che in quel momento, nonostante sentisse il sangue sgorgare da ogni dove, non percepiva dolore, ma solamente una sensazione di sonno perpetuo. Così, mentre

nel contempo inizia a piovere, decide di riposare esattamente dove l’avevano massacrato e lasciato fino al mattino seguente, sperando che qualcuno passando

si accorga di lui e chiami i soccorsi. Sfortunatamente, così non è stato e il risveglio e decisamente traumatico. Il dolore l’ha aggredito all’improvviso. Senza

perdersi d’animo fa in modo di tirarsi su e prendere il cellulare “scrauso” che aveva in tasca per chiamare i soccorsi. Dopo  po’ l’hanno condotto al pronto

soccorso dove è stato operato d’urgenza. Diversamente da quanto si aspettava, Michele racconta che in ospedale ha incontrato un angelo, “un’infermiera a cui

farò un regalo nella mia vita” che si è presa cura di lui facendogli compagnia, portandogli il caffè e il giornale appena poteva. Michele ricorda che tra loro si era instaurato un rapporto di fiducia per cui, addirittura, l’infermiera durante la notte si concedeva qualche minuto di riposo tanto sapeva che Michele l’avrebbe

avvisata in caso di necessità. Quest’ultimo infatti racconta che la notte non dorme più ma legge libri e aggiunge “oggi vivo così, ma sono un uomo acculturato

e capace di ragionare”.

Dopo aver terminato di ascoltare le se vicissitudini, l’ho interrotto per rivolgergli una domanda: “Michele, ma qual è la tua visione degli italiani?”. Lui ha risposto,

con un italiano un po’ confuso: “Bella domanda, che però non dovresti rivolgere a me, ma agli italiani. Io non credo che si possa fare di tutta l’erba un fascio,

ognuno è diverso, che sia italiano o di qualunque altra nazionalità; l’umanità e l’amicizia non dipendono da questo, ma dalla tua visione della realtà e una

dimostrazione è stata l’incontro con i datori di lavoro e l’infermiera. Secondo me questa domanda andrebbe fatta agli italiani”. A questo punto mi sono permessa

di insistere e chiedergli: “Quindi come pensi che vedano gli italiani l’immigrazione e come si comportano nei confronti di questo fenomeno?”. Michele ha dato

una risposta molto interessante avvalendosi della metafora del falco: “Il problema è che gli italiani non vedono l’immigrazione, tengono gli occhi chiusi, sono

come dei falchi a cui tiri un pezzo di pane e non essendo quello che vogliono lo lasciano cadere a terra. Uguale gli italiani, non sono interessati a noi migranti

e quindi tengono gli occhi chiusi”.

Infine gli ho chiesto se in questo momento avrebbe preferito continuare a rimanere in Italia o tornare in Grecia, nel suo paesino in mezzo alle montagne, visto

che entrambi simboleggiano sofferenza e frustrazione. Michele mi ha guardata dritta negli occhi e mi ha detto che preferirebbe essere in Grecia perché

“l’acqua passa, le pietre restano”. Intendeva dire che gli episodi negativi della vita di ognuno passano, mentre le proprie radici, per quanto fonte di dolore,

restano: nessuno può cancellarle, quindi tanto meglio fare tesoro di ciò che non è andato, metterlo da una parte e andare avanti con la propria esistenza.

Ha anche aggiunto che “la vita è troppo breve per fermarci, dobbiamo godere delle cose che ci capitano, quando ci capitano”.

Tra il bene e il male, Michele sottolinea che di tutto quello che ha vissuto e perso, la sofferenza più grande è stata doversi staccare dai suoi fratelli che non

ha mai più rivisto.

Dopo essere stati un’ora e mezza a parlare, Michele mi ha ringraziata, per averlo ascoltato e avergli tenuto compagnia, in un modo speciale e tutto suo.

Infatti, ha tirato fuori la sua fisarmonica e ha intonato una canzone popolare romena che ha imparato quando lavorava là.

Dopo che le nostre strade si sono divise, con la promessa di rincontrarci, non ho potuto evitare di ripensare a quegli occhi sofferenti, speranzosi e in attesa

di un futuro migliore, magari lontano da un paese che forse non l’ha accettato e aiutato come poteva.

 

Vedi anche: "La parete, il confine, lo specchio" (cfr. Corso 2015)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

        Dipartimento di 

         studi umanistici

 

 

    Testi e bibliografie

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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