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Identità
Una identità frammentata
Il dramma del viaggio
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POLITICA INTERNAZIONALE E DELLE MIGRAZIONI Corso di Laurea magistrale in Storia e società 2020/2021
Gruppo 2: Analisi dell'identità migrante
Giacomo Cassanelli g.cassanelli59@libero.it Paolo Aielli pao.aielli@stud.uniroma3.it Benedetta Berilli ben.berilli@stud.uniroma3.it Chiara Anita Lodovina Toti chi.toti2@stud.uniroma3.it Alberto Palladino alb.palladino@stud.uniroma3.it PosizioneIl Gruppo coordinerà al suo interno il lavoro di ciascuno, cercando di indirizzarlo in modo da approfondire l'identità migrante sotto due punti di vista: come essa viene percepita al di fuori (in particolare dai cittadini italiani), e come viene percepita dal migrante stesso.
L'identità migrante (Giacomo Cassanelli) Nella ricerca in Internet sull’argomento: “Come noi vediamo i migranti e viceversa”, mi sono imbattuto in questi articoli che trovo interessanti: http://www.progettosullasoglia.it/wp-content/uploads/2018/10/5.-perchè-odiamo-gli-immigrati.pdf In questo articolo di Sergio Cecchi viene evidenziato l’atteggiamento di paura, ostilità e sospetto nei confronti dell’immigrato, alimentato dai movimenti che spingono per la “cacciata dello straniero”. Nella realtà si cela il classico ritorno del tema del “Caprio espiatorio”. Temi discussi sui mass media, dibattiti e giornali sono i conflitti circa l’ingerenza nell’accesso al mercato del lavoro e alle risorse di protezione sociale. Termini utilizzati: “invasione” e “difesa dei confini”, e la cronaca enfatizza gli episodi “delinquenziali". Secondo l’autore ci troviamo davanti all’immigrato “catalizzatore di rabbia” e svolgente la “funzione specchio” in una società in cui anche l’autoctono ha difficoltà di integrazione sociale, rendendolo estraneo al mondo del lavoro ed alle garanzie welfare. Ciò alimenta il timore di divenire esso stesso estraneo: idea che viene negata, rifiutando lo straniero. L’autore si sofferma sul ruolo delle élite che cercano la loro legittimazione di autorità quali garanti nel controllo della società, e la costruzione del consenso. Il pericolo per l’ordine pubblico derivante dal fenomeno migratorio viene enfatizzato, sempre secondo l’autore per celare le contraddizioni di un sistema neoliberale che genera disuguaglianza economica. Il migrante “capro espiatorio” devia lo scontento della popolazione. Avere a disposizione qualcuno a cui addossare le responsabilità circa le problematiche sociali è una buona opportunità: gli immigrati si prestano molto bene all’infausto ruolo di “capro espiatorio”. L’autore si sofferma sul fatto se sia vero o meno che l’immigrato reca danno e “ruba il lavoro”, pervenendo ad una risposta esattamente contraria. Il lavoro degli immigrati, di fatto, contribuisce a mantenere basso il prezzo di prodotti e servizi offerti ai consumatori. Lavoro “nero”, “grigio” o comunque irregolare nei servizi, ristorazione, costruzioni, trasporti, commercio e manovalanza, permettono costi bassi di produzione ed a volte facilitano lo stesso inserimento degli autoctoni in alte attività non certamente irregolari. https://www.eumetramr.com/society-politics/lopinione-degli-italiani-sullarrivo-degli-immigrati/ In questo articolo viene riportata una situazione statistica circa l’opinione e l’atteggiamento degli italiani sull’arrivo dei migranti: respingimento, accettazione o accettazione limitata numerica. In questo articolo tratto dal “Venerdì di Repubblica” (ottobre 2014) viene riportata la percezione che si aveva sullo straniero espressa in una specie di graduatoria di gradimento circa le caratteristiche di laboriosità ed onestà attribuita agli immigrati secondo la loro nazionalità. https://www.t-mag.it/2012/07/12/i-migranti-visti-dagli-italiani/ In questo articolo viene riportata una situazione statistica su opinioni e giudizi degli italiani circa aspetti riguardanti i rapporti, l’inserimento, la discriminazione, l’atteggiamento, il comportamento, la cultura ed il lavoro degli immigrati. https://www.repubblica.it/online/societa/immigrazione/immigrazione/immigrazione.html In questo articolo di Repubblica, risalente all’anno 2000, quindi non recente, vengono riportate singolari opinioni di immigrati (specialmente di fede Islamica) di come essi vedono gli italiani secondo le differenze culturali: famiglia, donne, figli, materialismo e consumismo pervasivo. Essi si sentono penalizzati in campo abitativo, bancario, sanità e giustizia. https://hamelin.net/wp-content/uploads/2014/02/hamelin35_Mimmo_Perrotta.pdf I In questo articolo l’autore Mimmo Perrotta cerca di rispondere alla domanda: “Chi è il migrante?”. Viene evidenziata l’opinione del sociologo algerino A. Sayad, secondo il quale l’immigrazione è generalmente considerata una “colpa”, una specie di tradimento che il migrante attua ai danni del suo gruppo di origine abbandonandolo. Ma è considerato colpevole anche nel paese di arrivo poiché è un estraneo. Il migrante, quindi, è portato a giustificarsi sia presso i suoi connazionali che presso i cittadini del paese di arrivo. Ai primi dovrà dimostrare che si sta sacrificando, i secondi, invece dovrà convincerli che egli rimarrà solo fino a quando avrà la possibilità di lavorare, oppure che provvederà ad integrarsi completamente. Il migrante è visto dagli autoctoni come un problema poiché egli non è un turista, ma è arrivato per restare. L’incontro con una cultura differente pone l’autoctono davanti al fatto poco accettato che la propria cultura non è assoluta, è solo una delle tante. L’autoctono prova fastidio per il comportamento del migrante, poiché gli sembra che lo tenga sott’occhio, lo guardi e lo studi: ma in realtà il migrante vuole solo apprendere, per poi apparire meno straniero. Categoria a parte sono i “transmigranti”, coloro i quali rimangono legati al paese di origine, hanno in progetto di tornarvi, anche periodicamente, e utilizzare lì il denaro guadagnato. Essi vivono in due mondi, con la prospettiva o di avere successo o di perdersi in entrambi.I I migranti in genere si distinguono in “migranti economici” e “migranti politici”; una suddivisione dai contorni sfumati. Le cause dell' immigrazione sono molteplici, di fatto la grandissima maggioranza dei migranti varca i confini in modo illegale, in modo pericoloso ed a volte a costo della vita. In ogni caso quelli che ci riescono sono emarginati, sfruttati, criminalizzati. L’autore Perrotta pone l’accento sulla “orrenda” parola clandestini, che di fatto è il termine maggiormente utilizzato per i “migranti irregolari”, quelli cio che non hanno il permesso di soggiorno. La difficoltà di poter ottenere l’idoneo atto amministrativo li porta a cercare di restare di nascosto oppure procurarsi un visto turistico che alla scadenza, però, li trasformerà in “irregolari”. Gli immigrati vengono definiti anche come “extracomunitari”: termine esatto, ma con accezione negativa: infatti, nessuno lo usa per gli svizzeri, gli statunitensi o gli australiani, che “tecnicamente” sono extracomunitari anche loro. Spesso si parla del “problema immigrazione” collegandolo alle questioni “sicurezza” e “risorsa economica”. È noto che i migranti accettano i lavori che gli italiani non vogliono fare. Spesso si preferisce sorvolare sulla nazionalità e ci si esprime in termini come etnia, che è una costruzione di natura coloniale, o di comunità che ha un connotato sì positivo, ma che accomuna indiscriminatamente tutti: esempio “comunità cinese” comprende sia l’operaio che l’imprenditore, in contesti dove si formano casi più di sfruttamento che di solidarietà. Questo ragionare per stereotipi porta inevitabilmente a semplicistiche conclusioni: se una signora marocchina cucina il “couscous”, tutte le signore marocchine cucinano il “couscous”, se un rumeno ruba, allora tutti i rumeni rubano. In conclusione l’autore estende i danni della stereotipizzazione anche ai figli dei migranti, nati in Italia e che migranti quindi non sono. Non sono migranti, ma rimangono degli stranieri. Il paradosso è che sono stranieri anche nel paese di origine dei genitori. Essi sono nati altrove e non conoscono i costumi e spesso persino la lingua di quel paese. Un interessante collegamento con il tema conclusivo dell’articolo di Mimmo Perrotta si rileva in questo articolo di Francesca Rifiuti, pubblicato sulla Rivista EXagere, che tratta di ciò che l’autrice chiama “Identità in viaggio” di bambini ed adolescenti migranti. L’articolo procede da una premessa che delinea la costruzione di identità riferita alla infanzia ed adolescenza nei contesti di migrazione, attraverso un sistema culturale di valori che procede sia in via verticale (da una generazione all’altra, dai nonni e dai genitori) sia in via orizzontale (interazione con i pari). In tali contesti si sviluppa l’autoidentificazione etnica con i connotati affettivi di appartenenza ed i comportamenti tipici che derivano dall’identificazione con il gruppo etnico stesso. L’individuo possiederà una identità culturale all’interno di una identità sociale quale membro di un gruppo. Essa rispecchierà sia la cultura del gruppo (valori, usanze etc.) che la personalità individuale risultante dalle esperienze di vita personale. L’identità prende forma anche con l’interazione con l’Altro ed è un processo e non un dato. Il migrante è in una posizione instabile, vive un “disequilibrio”, non è del tutto nel paese ospitante ma non è rimasto in quello di provenienza. Si trova in una posizione alquanto scomoda: oscilla tra due culture, due lingue, tra passato e presente, tra speranza e paura, tra la stabilità del nuovo paese e la sua personale transitorietà in quanto ospite. Il processo di integrazione si rivela lungo e difficile e richiede sforzo costante. In genere bimbi ed adolescenti nelle loro esperienze scolastiche si rendono conto di essere una minoranza e desiderano aggregarsi alla maggioranza compiendo un graduale distacco dalla famiglia. In tal modo si rischia una costruzione dell’identità per assimilazione come se i figli dei migranti fossero identici ai corrispondenti “nativi”, senza però esserlo. In tal modo una parte della loro identità originaria verrebbe così dimenticata. Invece occorrerebbe preservare ogni sfumatura identitaria perché non vengano rimosse dalla memoria. Sarebbe auspicabile un processo di integrazione, ma vige sempre la paura di venire “contaminati” dallo straniero. Anche i genitori contribuiscono al pericolo di questa perdita: essi che hanno vissuto il trauma della migrazione preceduto da altri traumi, intendono ora proteggere i loro figli dal racconto stesso della migrazione, privandoli così di questa narrazione, se non per il fine di evitare ad essi l’insorgere di nostalgia, sofferenza e vergogna. Ma essi hanno bisogno di sapere; rimanere nell’oscurità, vivere nel silenzio il trauma, porta difficoltà nella costruzione serena della propria identità. Poter conoscere la propria storia è una opportunità di scambio di esperienza con i propri coetanei del paese ospitante. I ragazzi sono sempre curiosi di conoscere le storie di chi giunge da lontano. È un’occasione di scambio di storie tra due mondi. In conclusione l’autrice auspica un buon processo di integrazione che consenta ai figli dell’immigrazione di mantenere il proprio senso di identità stando di qua, ma “rimanendo in parte di là”. Vedi anche: Opinioni degli italiani sull'arrivo dei migranti I migranti visti dagli italiani Gli italiani? Consumisti e succubi delle donne
Il dramma del viaggio (Chiara Anita Lodovina Toti) “E l’uomo vale più di un asino” Ancora oggi il fenomeno dell’immigrazione in Italia è estremamente sottovalutato e perno di numerose convinzioni infondate, pertanto occorre far luce sul lato umano e drammatico che guida le scelte e le vite di coloro che, malgrado l’attaccamento alle proprie radici, accettano di fuggire alla ricerca di nuove prospettive, inconsapevoli di ciò che li aspetta. Le testimonianze raccolte dagli autori del libro “Come un uomo sulla terra”, descrivono gli anni che intercorrono tra il 2005 e il 2009, nonché gli anni decisivi per l’inizio dell’emigrazione africana, più precisamente i fuggitivi provenienti dal Corno d’Africa, verso l’Italia. Si tratta di gruppi di giovani tra i 17 e i 26 anni che partono dall’Etiopia affrontando viaggi in condizioni di durezza fisica, attraversando il deserto e il mare, subendo sfruttamenti e violenze, trattati come schiavi sino ad essere resi soggetti passivi e subordinati. Ogni partenza, inclusa quella dalla capitale etiope, Addis Abeba, prevede delle regole:
Come dimostrato dall’elenco che descrive l’organizzazione e il funzionamento del viaggio, la loro decisione di andare altrove è avvolta da un alone di incertezza sin dall’inizio. I giovani di Addis Abeba dopo aver maturato l’idea che il loro futuro è destinato a morire, se non addirittura a non vedere mai la luce, si mettono in contatto con persone che gli promettono di poter raggiungere la meta con circa 250/300 dollari omettendo i costi aggiuntivi per il passaggio da una meta all’altra così come viene omesso che non sarà un viaggio diretto. Una volta assaporata la possibilità di essere liberi, questi giovani si mettono in moto per raccogliere il denaro di cui hanno bisogno e ottenere una lettera scritta dai ragazzi arrivati in Italia prima di loro in cui vengono riportate informazioni e accorgimenti da seguire. Il viaggio in gruppo ha inizio e da quel momento nessuno avrà più notizie di loro. Le uniche informazioni arrivano dai migranti bloccati sulle coste libiche in attesa di poter riprendere l’attraversata verso l’Europa e in ogni caso sono informazioni vaghe e incerte, ma soprattutto oggetto di cambiamenti repentini in quanto ogni viaggio dipende dalle condizioni esterne. Le uniche regole valide sono la determinazione e lo spirito di sopravvivenza. La lettera prima citata non avrà quindi alcun valore. Esperienze e testimonianze Veniamo ora a ciò che accade durante quest’interminabile fuga verso l’illusione di condizioni di vita più agiate e sicure. Occorre ricordare che il viaggio è diviso in tratte. In qualunque territorio essi arrivino devono imbattersi nei dallala o mediatori, come gli agenti di polizia, che li arrestano e li liberano in continuazione senza dar loro una spiegazione, sottoponendoli a violenze fisiche e psicologiche con il solo obiettivo di ridurli a schiavi, esseri umani privati dei loro diritti in quanto tali e quindi soggetti alienati senza più alcun desiderio e volontà. Il percorso migratorio muta il suo scopo trasformandosi nel mezzo alleato delle organizzazioni criminose responsabili dell’economia di rapina stop and go. (cfr. Documento completo) Il dolore del viaggio in seconda battuta Una volta giunti a destinazione, il viaggio non è terminato, un sospiro di sollievo non può ancora essere tirato. Anzi, forse è solo l’inizio di un incubo che difficilmente riuscirà a rimarginarsi in tempi brevi, senza l’aiuto di specialisti e soprattutto ripristinando la condizione originale dell’uomo o della donna che hanno richiesto asilo. Le violenze subite, verbali e/o fisiche, si trasformano in ricordi incancellabili che con l’andare del tempo diventano sempre meno vividi ma non scompaiono, diventano infatti mostri da combattere. Questi ultimi possono assumere denominazioni differenti: nevrosi, autolesionismo, stress post-traumatico e tentativi di suicidio. (cfr. Documento completo)
Aspetti di statistica Di seguito una prima traccia che si vorrebbe sviluppare per l'analisi statistica della immigrazione in Italia al fine di tracciare "un profilo identitario di carattere quantitativo": Il 26 ottobre di questanno l'ISTAT ha pubblicato i dati sui cittadini non comunitari in Italia relativi agli anni 2019-2020 che ammontano a 5,3 milioni circa; sempre secondo l'ISTAT nel 1981 non superavano le 100 mila unità: nell'arco, quindi di 40 anni, il fenomeno ha assunto una grande rilevanza tanto da rappresentare ormai più dell'8% della popolazione che vive in Italia. Per svolgere qualsiasi tipo di analisi di un fenomeno così rilevante e complesso è essenziale cercare di orientarsi tra le diverse fonti disponibili di carattere ufficiale o semplicemente curate da indagini più locali svolte da enti ed associazioni. Gli aspetti che si cercherà di analizzare sono i seguenti:
Fonti statistiche e dati per la definizione della “identità” (Paolo Aielli)
Premessa
L’obiettivo del gruppo di lavoro sulla identità dei migranti nell’ambito del Corso di Politiche dell’Immigrazione è quello di analizzare degli essenziali aspetti di carattere antropologico, psicologico, economico e sociologico. Si è ritenuto utile, in questo quadro, fornire anche un insieme di informazioni statistiche che possano definire una “fotografia”, il più possibile obiettiva, della situazione di fatto. Infatti, troppe osservazioni, affermazioni, opinioni si basano su caratteristiche e dimensioni del fenomeno assolutamente infondate. Manca cioè nel dibattito e peggio ancora nelle politiche quel “dato di realtà” che permetterebbe all’Italia, come forse ad altri paesi, di affrontare in modo più adeguato e coerente ai principi teorici dello stato di diritto che dichiarano di essere ed alle persone di avere una visione più reale di chi sono, quanti sono e cosa fanno queste persone che chiedono di vivere e lavorare nel nostro paese. (vedi Documento completo) Uno dei casi più noti descritti da Oliver Sacks (Vedere e non vedere in “Un antropologo su Marte” Adelphi 1995) è la storia di un uomo al quale dopo anni di cecità venne ridata la “funzione visiva”, ma per “vedere”, Mr. Virgil, questo il nome del paziente, continuava a non usare gli occhi. Così sembra l’Italia dopo essere diventata un paese a forte immigrazione da oltre 40 anni perché sembra che continui a non essere capace di “vedere” dimensioni, caratteristiche, impatti sociali ed economici di un fenomeno, quello degli stranieri in Italia, che ha raggiunto quasi il 10% della popolazione. Anche i numeri parlano, ma a volte è faticoso leggerli, interpretarli, capire che dietro di essi ci sono persone, realtà complesse, dinamiche relazionali; molto meno faticoso, invece, è immaginare, costruire significati, inventare realtà ed ossessioni. Ecco allora perchè una parte del lavoro del Gruppo 2 sulla identità è stato dedicato alla raccolta e alla illustrazione di alcuni “indicatori” fatti di numeri assoluti e “ratios”. (vedi Documento completo)
L’idea dell’Altro in relazione ai fenomeni di migrazione umana (Alberto Palladino) Nello svolgimento del corso a cui s’intesta il presente scritto è emerso con innegabile chiarezza l’interrogativo basilare della questione attorno all’identità dell’elemento “migrante” sopratutto in relazione ai due poli entro cui si sviluppa la sua esperienza. Il polo di partenza, con il suo bagaglio culturale, le sedimentazioni sociali e l’eredità etnica e quello d’arrivo con esattamente gli stessi elementi strutturali ma di segno opposto, potremmo dire, visti all’inverso. Il terzo elemento di questa mutazione è, di fatto, l’atto stesso della migrazione, che indipendentemente dalla modalità con cui viene compiuto determina delle forze che inevitabilmente operano sul processo di definizione e ri-conoscimento dell’Essere “migrante” rispetto al Sé stesso.
Seguendo l’analisi di Tajfel e Turner, evidenziata nello scritto di Francesca Rifiuti , 1 «l’identità etnica - che costituisce la succitata eredità - è legata ad un’attribuzione di valore dai connotati emotivi verso la propria appartenenza ad un gruppo specifico». Un concetto che agisce e reagisce in cooperazione con quello di identità culturale con cui si omogenizza in 2 un processo costante di generazione e rigenerazione. Tuttavia il problema, intimamente legato alla fenomenologia della migrazione umana, si pone nel momento in cui l’Essere “migrante”, carico di questo bagaglio identitario, valica i confini, fisici o metafisici dello spazio etnico. Irrompe, per così dire, in una nuova, diversa, “bolla” identitaria. Nel tentativo d’analizzare la questione dello spazio delle identità non si può ignorare l’etimologia dei due termini che meglio intervengono nella costruzione di un Limes di significato tra ciò che si riconosce come “Nostro” e ciò che si riconosce come “dell’Altro”. Ethos ed Ethnos, in cui quest’ultimo, 'popolo', 'nazione' è «una comunità caratterizzata da omogeneità di lingua, cultura, tradizioni e memorie storiche, stanziata tradizionalmente su un determinato territorio» ed Ethos, soggiorno abituale, 4 abitazione, ma anche, consuetudine, abitudine, uso, costume, modo di parlare e d'agire, carattere, indole. Potremmo altresì aggiungere che se l’Ethos può farsi “nazione” e “popolo” anche in assenza di uno spazio, o in assenza di un territorio uniforme (Nation of Islam; Nazione Cherokee; l’Aryan Nation) uno spazio umano non si farà Ethnos senza che si riconoscano come fondamentali gli elementi d’innesco dell’identità culturale sublimati dall’Ethos . Una sorta di 5 dualismo tra software e hardware in cui le due entità conservano un comune spazio di lavoro pur rappresentando funzioni operative differenti. (vedi Documento completo)
L’immagine dei migranti secondo gli italiani (Benedetta Berilli) Il fenomeno dell’immigrazione in Italia non è un fenomeno del tutto recente, come invece la maggior parte degli italiani può pensare. I primi flussi migratori veri e propri sono stati infatti registrati negli anni successivi alla fine della Seconda guerra mondiale. Tuttavia, inizialmente c’è stata una mancanza di interesse da parte del governo italiano che ha portato ritardi nella creazione di legislazioni ad hoc e ha segnato un forte impatto sull’opinione pubblica. Prima dei due conflitti mondiali, la presenza di stranieri in Italia era alquanto limitata e si è successivamente inaridita con l’avvento delle prime leggi raziali. Lo straniero era visto come una minaccia. Emarginato e discriminato, gli era negato ogni sorta di diritto ed era tenuto costantemente sotto controllo. La situazione cambiò solamente dopo la Seconda guerra mondiale, quando nella Costituzione italiana furono sanciti principi di non discriminazione e di assicurazione dei diritti umani. Nel periodo postbellico la maggior parte degli immigrati erano sfollati, ex prigionieri e profughi ebrei che attraversavano l’Italia per arrivare in Palestina o negli Stati Uniti. Nel corso degli anni ’60 e ’70 del Novecento, il boom economico attrasse un numero ancora più grande di migranti: stranieri e lavoratori provenienti principalmente dalle ex colonie italiane. Anche il Friuli e la Sicilia videro arrivare migranti provenienti dagli stati confinanti. Alla fine degli anni ’70 si presentarono molti esuli richiedenti asilo, in fuga dalle dittature latinoamericane. Il numero degli stranieri in Italia continuò a crescere negli anni successivi fino a quando, solo nel 1986, fu emanata la prima legge sull’immigrazione (legge Foschi https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1987/01/12/086U0943/sg ). Tuttavia, nel paese il tema dell’immigrazione non aveva ancora preso grande visibilità a livello sociale e gli immigrati lavoravano maggiormente nel settore agricolo e domestico. Tale situazione rispecchiava una sottovalutazione del fenomeno migratorio. Tra il 1989 e il 1998 si assiste alla nascita dei primi movimenti antirazzisti e di nuove leggi riguardanti l’immigrazione (legge Martelli https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1990/02/28/090G0075/sg e la legge Turco- Napolitano https://www.camera.it/parlam/leggi/98040l.htm). In questo periodo l’opinione pubblica non osteggia l’immigrazione e vengono offerti aiuti ai rifugiati da parte di alcune fasce della società. Nel 2001 l’immigrazione si pone al centro del dibattito politico, avendo superato il milione il numero di migranti in Italia. Nel 2009 gli stranieri in Italia sono 4,5 milioni. Nel 2011 si verifica l’inizio dell’ultima ondata migratoria proveniente dal Nordafrica e dal Medio Oriente. L’ alternanza di coalizioni opposte al governo nel corso degli ultimi anni ha portato a tentativi di rovesciamento delle politiche sull’immigrazione. Da una parte si trova il centro sinistra che tende a promuovere l’integrazione e vuole assicurare agli immigrati in Italia diritti al pari dei cittadini italiani. Dall’altra il centro destra che ha timore per la sicurezza del paese e promuove il mantenimento dell’identità nazionale. Ma cosa pensano i cittadini italiani degli immigrati? A tal proposito risulta utile analizzare l’indagine ISTAT del 2011 I migranti visti dai cittadini, la prima indagine ufficiale condotta sul tema della discriminazione. Da essa emerge che la maggior parte degli italiani (in media tra il 60 e l’80 per cento), entrati in contatto con immigrati tramite esperienze dirette, sono dell’opinione che gli immigrati in Italia siano trattati meno bene rispetto agli italiani, che trovino difficoltà di inserimento nella vita sociale del paese e che abbiano meno opportunità lavorative e di alloggio, soprattutto se donne. La stessa percentuale di cittadini italiani condanna la discriminazione che tali immigrati subiscono in ambito scolastico e lavorativo, pur essendo comunque diffusa l’opinione che gli italiani debbano avere la precedenza quando si tratta di accesso al lavoro e attribuzione di alloggi popolari. Inoltre, la maggioranza degli intervistati ritiene che la presenza degli immigrati in Italia sia una cosa positiva, in quanto essi sono disposti a svolgere lavori che gli italiani non vogliono e portano multiculturalismo all’interno del Paese. Si ritengono inoltre favorevoli all’integrazione di stranieri nelle scuole tramite un’equa distribuzione all’interno delle varie classi e anche al riconoscimento di cittadinanza per i figli di immigrati (la cosiddetta seconda generazione) e per quelli che ne fanno richiesta dopo aver trascorso alcuni anni in modo regolare in Italia. L’indagine mostra dunque una certa apertura da parte dei cittadini. Tuttavia, questi si dimostrano bendisposti verso i migranti solo fin quando non si parla di matrimoni misti nel proprio nucleo familiare o di aperture di nuovi luoghi di culto all’interno del proprio quartiere. Per la maggior parte infatti creerebbe problemi un eventuale matrimonio di un membro della famiglia con un immigrato, soprattutto se Rom/Sinti. In più, alcuni pensano che il numero di immigrati in Italia sia troppo elevato e che immigrazione sia sinonimo di degrado urbano, criminalità, violenza e problemi di ordine pubblico. Questi elementi sono attribuiti soprattutto ad alcune nazionalità, in particolare quelle presenti in numero maggiore su suolo italiano (rumena, albanese e marocchina). Una discreta discriminazione è indirizzata anche ad alcuni credi religiosi, come quello musulmano, ed è basata in gran parte sulla paura della perdita dell’identità nazionale, essendo l’Italia un paese a maggioranza cattolica. Il 60% degli italiani dunque si rivela diffidente nei confronti degli immigrati e i cittadini che hanno mostrato una maggiore apertura in tutti i temi affrontati sono i giovani, soprattutto donne, e i residenti nelle regioni del centro Italia. Analizzando articoli e ricerche più recenti, emerge tuttavia un quadro non troppo positivo riguardo l’immigrazione vista dai cittadini italiani. Ad esempio, nel 2017 il popolo italiano è stato definito quello meno tollerante di tutta l’Europa occidentale. Si denota una crescente negatività rispetto agli anni precedenti. La maggior parte degli italiani infatti sostiene che l’immigrazione renda il paese peggiore. Le motivazioni di tale pensiero potrebbero celarsi dietro al fatto che in Italia quello dell’immigrazione è un problema più grande rispetto agli altri paesi europei o perché è sempre stato un paese di passaggio. Inoltre, molti italiani sono dell’opinione che molti richiedenti asilo non siano effettivamente in pericolo di persecuzione nel proprio paese di origine. Dagli studi condotti si evince una generale disinformazione dei problemi e delle conseguenze dell’immigrazione. La maggior parte degli italiani pensa che questa sia una delle principali cause di povertà nel paese, quando in realtà le cifre spese in ambito dell’accoglienza di migranti sono nettamente inferiori a quelle per evasione fiscale o per corruzione. Gli immigrati sono anche ritenuti la principale causa di criminalità in Italia, quando spesso questi commettono reati minori o sono sfruttati dalla criminalità organizzata italiana. D’altro canto, un barlume di speranza rimane nelle nuove generazioni di italiani, i quali dimostrano più apertura e una visione più critica e ragionata della situazione, nonostante siano quelli che più soffrono, e soffriranno, della crisi economica in corso. Essi dimostrano di accettare positivamente il multiculturalismo come conseguenza di questo fenomeno, ma rimangono preoccupati per l’aumento della criminalità e dei disagi. https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2018/10/10/storia-immigrazione-italia https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/02/20/il-grande-male-dellitalia-sono-gli-immigrati/4171286/ https://www.rapportogiovani.it/i-giovani-e-limmigrazione/
L’immagine degli italiani secondo i migranti (Benedetta Berilli) L’opinione degli italiani riguardo i migranti è dunque molto chiara ed è spesso ribadita in giornali, riviste, programmi televisivi e social media. Tuttavia, non è affatto facile scoprire cosa i migranti pensano degli italiani. Evidentemente non è un argomento di grande interesse per l’opinione pubblica, forse perché i migranti sono considerati l’ultima ruota del carro nella piramide sociale, pur essendo quotidianamente al centro del dibattito politico. Eppure, ricevere un feedback sul nostro modo di porci con gli stranieri potrebbe essere di grande utilità per poter indirizzare la nostra nazione sulla via dell’integrazione e dell’accoglienza. Ma non è facile capire cosa pensano. La maggior parte di loro arriva qui per trovare un lavoro che gli permetta di sfamare la propria famiglia, o perché non sono più al sicuro nel loro paese e sognano una vita migliore. Molti dunque non vogliono o non possono tornare a casa propria, perciò sono restii a dare un’opinione sincera dell’Italia e degli italiani. Il materiale sull’argomento è scarso, ma dal poco reperibile emerge che la maggioranza di migranti nel nostro paese conosce quasi perfettamente l’italiano, grazie alla scuola o al lavoro, e conosce le istituzioni (ad esempio sa qual è la capitale e chi è il presidente della Repubblica). Pensano che gli italiani siano grandi lavoratori, ma che al tempo stesso amino la bella vita e che siano corrotti. Riguardo la gestione dei migranti da parte del governo sono dell’opinione che sia troppo semplice entrare in Italia e che ci sarebbe bisogno di norme più restrittive per quanto riguarda la criminalità. Tutti pensano che l’iter per ottenere la cittadinanza dovrebbe essere facilitato, soprattutto per le seconde generazioni. Per questi ultimi è una questione particolarmente difficile, si sentono pienamente italiani, sono cresciuti qui, hanno legami e radici, ma comunque non sono del tutto integrati. Combattono contro il pregiudizio e per avere pieni diritti nel paese in cui vivono e che sentono loro. oooo http://www.fondazioneleonemoressa.org/2014/07/27/cosa-pensano-gli-immigrati-degli-italiani/ https://www.lastampa.it/esteri/2017/07/09/news/come-i-migranti-vedono-gli-italiani-1.34448880 https://www.youtube.com/watch?v=xHpeSndZyV0
Storia di Michele (Chiara Anita Lodovina Toti) Roma, piazza del Catalone di Borgo Pio (nei pressi del Vaticano), domenica 29 novembre 2020: dopo una ricerca lunga ed estenuante, che mi ha permesso di conoscere ancora più a fondo il dolore negli occhi di uomini e donne immigrati che per paura si sono rifiutati di parlare, ho trovato Michele. Michele è nato in Grecia, infatti il suo nome in origine era Vasilio, ha 52 anni ed è arrivato in Italia nel 1998. Prima di dare inizio alla narrazione della sua vita e delle sue esperienze, tutt’altro che piacevoli, mi ha scrutato con occhi impauriti e induriti dal tempo. Alla fine, dopo aver spiegato il perché fossi lì, parlando il più sinceramente possibile, ha deciso di fidarsi e mi ha permesso di accedere al suo dolore e alla sua frustrazione. Dunque, Michele è nato nel 1968 in Grecia ed ha scelto di venire in Italia, non in veste di vacanziere, ma per sfuggire alla disastrosa situazione economica in cui l’aveva lasciato la madre. Racconta di un genitore che non ha adottato stessi pesi e misure nel trattamento dei propri figli, spartendo i suoi beni solo tra alcuni di questi, ed escludendo, tra gli altri, lui. Per questo motivo Michele ha scelto di riprendere in mano la sua vita e cercare fortuna altrove. La prima tappa è stata l’ex Iugoslavia, dove lavorava come muratore guadagnando lo stretto necessario per non condurre una vita di stenti, per potersi sfamare ed avere un tetto sulla testa. Un giorno incontra un ragazzo, di origine romena, che come lui era alla ricerca della sua strada e gli propone di partire con lui per l’Italia, “la terra promessa, mi dicevano” riferisce Michele. La partenza verso la penisola era prevista per il 25 dicembre, sul ponte di una nave e con pochi averi che non gli permettevano di coprirsi dal gelo tagliente, per cui ha trascorso tutto il viaggio al riparo in un armadio. Dopodiché, una volta sbarcato a Bari affamato, decide di investire gli unici soldi che aveva, poche lire, per comprare pane e salame in un alimentari. Rimasto con poco o niente comincia a vagare per la città fino a che non incontra un certo Tiziano che, vedendolo spaesato, gli offre una sigaretta e la prospettiva di un futuro migliore che albergare sulle panchine. Il giovane Vasilio si sarebbe dovuto occupare della cura dei cavalli di una campionessa di equitazione e in cambio, oltre allo stipendio, avrebbe potuto dormire in una roulotte senza pagare bollette. Finalmente Michele ha una casa dove dormire e un lavoro a cui dedicarsi. Tutto idilliaco se non fosse stato per lo sfruttamento, visto lo stipendio minimo, e il quantitativo di ore extra a cui era sottoposto. Dopo un breve periodo che gli permette di assestarsi, Michele decide di andare per la sua strada. Lascia il lavoro, scappa e prende un treno verso Roma senza biglietto, nascondendosi tra bagno e corridoi per sfuggire ai controllori. Una volta giunto a Roma, dopo un poco riesce a trovare un lavoro come fabbro nella zona di Borgo Pio e anche una stanza dove appoggiarsi, in casa del suo datore. Tutto procede per il meglio, Vasilio si dà da fare più che può per svolgere egregiamente i lavori richiesti, sino a quando non interviene il figlio del suo datore, un certo Lorenzo, che per paura che il padre lasci tutto al suo dipendente, ormai uomo di fiducia e affezionato a lui come un secondo figlio, picchia il padre e caccia Michele. Michele è di nuovo in mezzo a una strada, ma questa volta decide di non continuare a sfidare la sorte e finire nelle grinfie di altri “sfruttatori”, come li ha definiti lui stesso. E decide che la sua nuova casa sarebbe diventata la strada. A questo punto comincia a fissare il vuoto e noto che gli occhi cominciano a diventare lucidi, tanto che prima di continuare mi dice “non è facile per me ricordare tutto questo”. Dopo qualche secondo, in cui ho atteso senza alcuna pressione per far sì che riprendesse a parlare, continua raccontando un episodio. Una sera, mentre passeggiava per raggiungere il suo letto (ossia un mucchio di coperte che lo dividono dal suolo), nota che alcuni ragazzi stavano tentando di rubare una smart, quindi lancia loro un urlo dicendo “oh state boni andate via”. I tre si voltano, staccano un palo di quelli che reggono le segnaletiche per strada e gli corrono incontro cominciando a massacrarlo di botte. Gli hanno rotto mandibole, denti e avambracci con cui aveva tentato di difendersi. Michele continua raccontando che in quel momento, nonostante sentisse il sangue sgorgare da ogni dove, non percepiva dolore, ma solamente una sensazione di sonno perpetuo. Così, mentre nel contempo inizia a piovere, decide di riposare esattamente dove l’avevano massacrato e lasciato fino al mattino seguente, sperando che qualcuno passando si accorga di lui e chiami i soccorsi. Sfortunatamente, così non è stato e il risveglio e decisamente traumatico. Il dolore l’ha aggredito all’improvviso. Senza perdersi d’animo fa in modo di tirarsi su e prendere il cellulare “scrauso” che aveva in tasca per chiamare i soccorsi. Dopo po’ l’hanno condotto al pronto soccorso dove è stato operato d’urgenza. Diversamente da quanto si aspettava, Michele racconta che in ospedale ha incontrato un angelo, “un’infermiera a cui farò un regalo nella mia vita” che si è presa cura di lui facendogli compagnia, portandogli il caffè e il giornale appena poteva. Michele ricorda che tra loro si era instaurato un rapporto di fiducia per cui, addirittura, l’infermiera durante la notte si concedeva qualche minuto di riposo tanto sapeva che Michele l’avrebbe avvisata in caso di necessità. Quest’ultimo infatti racconta che la notte non dorme più ma legge libri e aggiunge “oggi vivo così, ma sono un uomo acculturato e capace di ragionare”. Dopo aver terminato di ascoltare le se vicissitudini, l’ho interrotto per rivolgergli una domanda: “Michele, ma qual è la tua visione degli italiani?”. Lui ha risposto, con un italiano un po’ confuso: “Bella domanda, che però non dovresti rivolgere a me, ma agli italiani. Io non credo che si possa fare di tutta l’erba un fascio, ognuno è diverso, che sia italiano o di qualunque altra nazionalità; l’umanità e l’amicizia non dipendono da questo, ma dalla tua visione della realtà e una dimostrazione è stata l’incontro con i datori di lavoro e l’infermiera. Secondo me questa domanda andrebbe fatta agli italiani”. A questo punto mi sono permessa di insistere e chiedergli: “Quindi come pensi che vedano gli italiani l’immigrazione e come si comportano nei confronti di questo fenomeno?”. Michele ha dato una risposta molto interessante avvalendosi della metafora del falco: “Il problema è che gli italiani non vedono l’immigrazione, tengono gli occhi chiusi, sono come dei falchi a cui tiri un pezzo di pane e non essendo quello che vogliono lo lasciano cadere a terra. Uguale gli italiani, non sono interessati a noi migranti e quindi tengono gli occhi chiusi”. Infine gli ho chiesto se in questo momento avrebbe preferito continuare a rimanere in Italia o tornare in Grecia, nel suo paesino in mezzo alle montagne, visto che entrambi simboleggiano sofferenza e frustrazione. Michele mi ha guardata dritta negli occhi e mi ha detto che preferirebbe essere in Grecia perché “l’acqua passa, le pietre restano”. Intendeva dire che gli episodi negativi della vita di ognuno passano, mentre le proprie radici, per quanto fonte di dolore, restano: nessuno può cancellarle, quindi tanto meglio fare tesoro di ciò che non è andato, metterlo da una parte e andare avanti con la propria esistenza. Ha anche aggiunto che “la vita è troppo breve per fermarci, dobbiamo godere delle cose che ci capitano, quando ci capitano”. Tra il bene e il male, Michele sottolinea che di tutto quello che ha vissuto e perso, la sofferenza più grande è stata doversi staccare dai suoi fratelli che non ha mai più rivisto. Dopo essere stati un’ora e mezza a parlare, Michele mi ha ringraziata, per averlo ascoltato e avergli tenuto compagnia, in un modo speciale e tutto suo. Infatti, ha tirato fuori la sua fisarmonica e ha intonato una canzone popolare romena che ha imparato quando lavorava là. Dopo che le nostre strade si sono divise, con la promessa di rincontrarci, non ho potuto evitare di ripensare a quegli occhi sofferenti, speranzosi e in attesa di un futuro migliore, magari lontano da un paese che forse non l’ha accettato e aiutato come poteva.
Vedi anche: "La parete, il confine, lo specchio" (cfr. Corso 2015)
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