Permessi di soggiorno
|
POLITICA INTERNAZIONALE E DELLE MIGRAZIONI Corso di Laurea magistrale in Storia e società 2019/2020
Le fasi del fenomeno immigrazione in Italia
Nel nostro paese, si possono individuare, schematicamente, almeno sette diverse fasi del fenomeno migratorio: 1. Una prima, lunghissima fase di latenza, durata almeno un quindicennio, dalla metà degli anni '70 (quando per la prima volta l'Italia registra un saldo positivo nei confronti dell'immigrazione straniera) alla fine degli anni '80, quando l'opinione pubblica 'scopre' il fenomeno grazie ad una serie di episodi riportati dalla cronaca dei giornali. La mancata emersione del fenomeno impedisce una adeguata preparazione - in termini di accoglienza, ma soprattutto in termini culturali - della società italiana; che sconta anche, in questo senso, uno storico provincialismo nei confronti di paesi e culture - quelli del cosiddetto 'terzo mondo - praticamente sconosciuti. In questa fase l'immigrazione cresce lentamente, con ingressi annuali inferiori, in media, alle 50mila unità.
2. La seconda fase, risoltasi nell'arco di pochi anni (tra il 1986 e il 1991), è caratterizzata dalla scoperta del fenomeno: una vera e propria esplosione di interesse e di provvedimenti (in particolare la Legge Martelli e la conseguente sanatoria), che coinvolge i mezzi di comunicazione, l'opinione pubblica, la stessa classe politica. Il varo della Legge 39 (febbraio del 1990) - una iniziativa legislativa fortemente influenzata dai mezzi di comunicazione, dopo la morte di un rifugiato sudafricano, Jerry Masslo - permette di avere finalmente precisi dati quantitativi, la possibilità di confrontarsi con termini quali regolarizzazione, clandestinità, soggiorno. Nuove categorie vengono rapidamente forgiate - ricordiamo per tutte "vu' cumprà" - ma subiscono una altrettanto rapida evoluzione proprio grazie alla maggiore presenza di strumenti critici. La stessa società italiana, attraverso i mezzi d'informazione, comincia a riflettere su se stessa, sulla sua capacità di accoglienza, sulla prospettiva d'una società multiculturale.
3. Il punto di svolta - se nella gradualità dei processi è possibile rintracciarne uno - dal quale si è soliti far partire la terza fase del fenomeno, è lo sbarco degli albanesi sulle coste pugliesi, nell'agosto del 1991. Mentre il primo esodo, nel marzo dello stesso anno, era stato accolto piuttosto positivamente - con la sottolineatura degli elementi di contiguità culturale (mentalità, religione, colore della pelle) dei nostri vicini adriatici - questo secondo episodio vede una reazione unanimamente negativa. Emergono, anche in presenza di un nuovo clima politico, caratterizzato dalla crisi dei vecchi protagonisti ideologici e dall'emergere di nuovi interlocutori, come la Lega Nord, insofferenze e disagi espressi senza le remore del passato, e spesso trasversali rispetto alle tradizionali divisioni di classe e di interessi. Tra accoglienza e rifiuto, l’Italia cerca senza troppa convinzione un suo modello di integrazione, in equilibrio tra esempi opposti, come l’assimilazionismo francese e le ghettizzazioni risultate dall’attenzione ‘identitaria’ per le Comunità immigrate, tipica del modello inglese. Nel frattempo l’immigrazione italiana cresce, non soltanto in termini quantitativi, avvicinandosi alla soglia del 4% della popolazione: aumentano esponenzialmente le coppie miste, continuano i ricongiungimenti, cresce la presenza della seconda generazione di migranti. Elementi che concorrono, tutti, al processo di integrazione e di radicamento nella società italiana. Cambia anche, a seguito di mutate condizioni geopolitiche, la presenza delle Comunità straniere: i Marocchini, storicamente la prima Comunità per quantità e una delle più antiche per presenza in Italia, verranno superati da Rumeni e Albanesi; crescono altre Comunità provenienti dall’Est, come Polacchi e Ucraini; restano forti Filippini e Cinesi; aumentano in molte città del centro-nord Peruviani ed Ecuadoriani, primi fra i Latinoamericani. Ogni Comunità è caratterizzata da luoghi di aggregazione, tipologia di occupazione, composizione di genere, appartenenza religiosa. Il panorama completo è molto articolato, e riserva anche alcune sorprese. Un capitolo a parte merita il ruolo dei Media. Un rapporto controverso, quello tra Media e immigrazione, dove è possibile delineare la trasformazione e l’evoluzione dell’immagine del ‘diverso’ nei vari mezzi di comunicazione; analizzare le definizioni e categorie dell’alterità; studiare non soltanto la rappresentazione che i media propongono degli immigrati, ma anche la crescita dei media gestiti parzialmente o completamente dagli immigrati.
4. Siamo alla fine degli anni ’90. Dopo una lunga gestazione, si mette finalmente a punto la prima legge organica sull'immigrazione, che segna un altro capitolo di questa storia, la quarta fase: firmata dai ministri Turco e Napolitano, la legge 40 è approvata nel marzo del 1998. Due i cardini principali della nuova normativa: il controllo del fenomeno (ingressi ed espulsioni) e l'integrazione degli immigrati nella società italiana. Il governo di centro-sinistra cerca in questo modo di trovare un compromesso tra le esigenze di “sicurezza” espresse da alcuni settori sociali e supportate politicamente dall’opposizione di destra, e la volontà di accoglienza della maggioranza . L'idea di fondo, senz'altro condivisibile, è quella di costruire un 'percorso' di cittadinanza per gli stranieri che migrano nel nostro paese. Da questo punto di vista, la nuova legge si pone sicuramente all’avanguardia nel contesto dei paesi europei, delineando un modello che sembra in grado di evitare le contraddizioni più stridenti delle politiche immigratorie dei nostri partner nell’Unione Europea.
5. Con il governo del Centro-destra, si apre una ulteriore periodo – la quinta fase – di questa storia ormai ventennale, caratterizzata dal varo e poi dall’applicazione della Legge Bossi-Fini (2002): che segna da una parte una fase di maturazione del fenomeno in termini quantitativi (la sanatoria porta la presenza straniera oltre la soglia del 4 per cento); dall’altra parte, con l’illusione di poter ‘reprimere’ il fenomeno, dimostra una palese incapacità di 'governare' positivamente l’immigrazione, agevolando flussi regolari e canali efficaci per l'inserimento. Il bilancio, a questo punto del percorso, non è particolarmente positivo: la società italiana, in un contesto 'aperto', privo, almeno apparentemente, di pregiudiziali di partenza, si è come chiusa su se stessa, ripercorrendo errori che l'esperienza di altri paesi avrebbe potuto, e dovuto, farci evitare.
6. La sesta fase è quella legata alla lunga crisi economica, dal 2007 al 2015: caratterizzata da una stabilizzazione della grandissima maggioranza degli stranieri residenti in Italia, ormai sopra i 5 milioni di unità; da proporzioni assai diverse tra le diverse Comunità, con la sopravvenienza soprattutto di migranti dall'Est europeo; da una crescita rilevante della seconda generazione di immigrati, specchio di una maggiore integrazione, ma anche di ritardi nel riconoscimento dei diritti di chi è nato o cresciuto nel nostro Paese (vedi Ius soli) ; da una radicalizzazione degli scontri culturali, in particolare nei confronti dell'Islam; da una lunga crisi internazionale, che ha visto diminuire i flussi dell'immigrazione economica lasciando spazio agli arrivi di profughi e richiedenti asilo da guerre o eventi disastrosi; da una maggiore consapevolezza della dimensione europea del fenomeno, nonostante le reiterate chiusure di taluni Paesi e di molti movimenti politici apertamente ostili all'immigrazione.
7. La settima fase è quella che viviamo attualmente. Partita dalla crisi siriana, che tra il 2015 e il 2017 ha riversato prima in Medio oriente e poi verso l'Europa milioni di immigrati e di richiedenti asilo, è caratterizzata dalla incapacità - da parte dell'Unione Europea - di concordare una politica unitaria di accoglienza: che ha visto messi in grande difficoltà paesi come la Grecia, la Spagna e soprattutto l'Italia, lasciata quasi sola a fronteggiare gli sbarchi quotidiani dei barconi che attraversano il Mediterraneo in cerca di rifugio. Inutilmente si è cercato di convincere i governi europei a rivedere l'anacronistico Trattato di Dublino, che obbliga il paese d'arrivo a prendere in carico migranti e rifugiati: con il risultato di dividere i Paesi europei e dare vigore (e fortune elettorali) alle politiche di chiusura, rifiuto dell'accoglienza e ostilità a ogni diversità culturale. Con un gruppo di paesi, tra i quali il cosidetto Gruppo di Visegrad, l'Austria, e soprattutto l'Italia, che hanno portato al governo partiti populisti e sovranisti, d'ispirazione anti-europea e fortemente anti-immigrati.
|
|
|||||