Geopolitica

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Conoscenza della prercentuale degli immigrati nei Paesi Ue

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

POLITICA INTERNAZIONALE E DELLE MIGRAZIONI

Corso di Laurea magistrale in Storia e società  2019/2020

 

Il contesto geopolitico

 

 

«La geopolitica è una particolare analisi della politica (specialmente la politica estera degli Stati nazionali ma non solo quella),

condotta in riferimento ai condizionamenti su di essa esercitati dai fattori geografici: intendendo come tali non solo e non tanto

quelli propriamente fisici, come la morfologia dello spazio o il clima, quanto l'insieme delle relazioni di interdipendenza esistenti

fra le entità politiche territorialmente definite e le loro componenti» (Generale Carlo Jean, 2003)

 

Da aggiornare:


L’attuale scenario politico europeo circa la questione migratoria vede il graduale passaggio del confronto da un panorama di posizioni individuali dei singoli

Stati membri, ad una situazione elaborata in diverse correnti, attorno alle quali si polarizzano le posizioni degli europarlamentari e dei ministri dei diversi

paesi europei. Il tema del confronto riguarda le risposte che l’Unione dovrebbe elaborare, scegliendo se sposare le politiche dell’accoglienza, del diritto

e dell’integrazione basandosi su quei valori fondamentali espressi nei trattati costitutivi; o se abbracciare le politiche di chiusura e di respingimento di cui

si fanno apertamente promotori diversi paesi membri: violando in questo modo la dimensione umanitaria e il diritto internazionale.


Ad ogni modo, è sempre più chiara l’importanza di una risposta politica unitaria e compatta, indispensabile all’elaborazione di una strategia di lungo periodo

che porti a dei risultati tangibili, che consenta di superare la confusione determinata da un approccio di tipo emergenziale e che ponga i provvedimenti

dell’UE su un percorso coerente. Sono necessarie delle risposte adeguate ad affrontare una crisi umanitaria che nell’ultimo periodo è esplosa in tutta la

sua complessità.  Basti pensare alle 627.780 richieste di asilo registrate da Frontex nel 2014, che hanno segnato un +45.3% rispetto al 2013; alle circa

600.000 domande presentate solamente tra gennaio e settembre del 2015, di cui 120.000 in Italia, circa 350.000 in Grecia e oltre 100.00 in Ungheria; o alle

300.000 persone scomparse nel Mediterraneo solamente nel 2014. Dati incompleti poichè non tengono presente la dimensione degli ingressi irregolari, ma

che sono utili a dare un’idea delle dimensioni e della crescita del fenomeno, dell’orrore e della necessità di provvedimenti concreti. Al tempo stesso, occorre

essere consapevoli che, nonostante i toni apocalittici utilizzati dai media, questi movimenti non sono che una piccola frazione dell’intero complesso migratorio

mondiale, stimata intorno al 6.5%.

Secondo il Centro Studi e Ricerche IDOS, a livello globale 9 migranti su 10 trovano protezione nei diversi “Sud del Mondo” . Vedere la questione in questa

prospettiva consente di ragionare in termini relativi, aumentando la consapevolezza che non ci si trova di fronte a “un’invasione”, come a volte si è voluto far

credere. Dunque, la difficoltà riscontrata dal sistema europeo non nasce dalla dimensione quantitativa del fenomeno, piuttosto è conseguenza dell’iniziale

incapacità di elaborazione di una politica comune a tutti i paesi membri, equa, solidale e lungimirante. In altri termini, la capacità di reazione è stata lasciata all’iniziativa volontaria dei singoli paesi membri che si sono trovati in prima linea, la conseguente frammentarietà non è stata che una delle testimonianze del disinteresse europeo.

Il primo vero frutto del confronto politico è maturato nell’Agenda Europea sulla Migrazione , approvata dalla Commissione Europea e pubblicata a maggio 2015.
Tale documento nasce dall’intenzione di dare una svolta al dibattito e superare l’incapacità di risposta operativa a livello europeo, dettando le linee guida per i

prossimi 5 anni. In tale documento è stato posto l’accento sui temi del controllo e presidio delle frontiere esterne, sul soccorso e l’accoglienza, sulla lotta ai

trafficanti di esseri umani, su delle nuove linee guida per la gestione delle domande di asilo, sulla ricollocazione dei migranti e sulla raccolta di informazioni in

quei paesi chiave che costituiscono gli snodi dei percorsi migratori. 
Desta perplessità il tema della lotta alla migrazione irregolare, che non sembra debba passare per un aggiornamento delle normative di ingresso, quanto piuttosto

per un collegamento con l’intensificazione delle operazioni di polizia contro i trafficanti e per il potenziameno delle risorse e delle competenze di Frontex. Inoltre,

il tema della cooperazione per lo sviluppo di paesi terzi, passa per una maggiore pressione sui governi dei paesi extra-Ue per il rimpatrio dei propri cittadini

irregolari in Europa.

Successivamente, l’aggiornamento dell’Agenda Europea sulla Migrazione del 14-10-2015, ha nuovamente espresso la possibilità di compiere un importante passo avanti puntando sul rafforzamento delle frontiere esterne, sulla giustizia delle procedure e sulla creazione di un sistema capace di cogliere le future problematiche

e criticità. Inoltre tale aggiornamento ha posto l’attenzione su un altro tema caldo, pianificando per marzo 2016 la discussione per un ulteriore riforma della Convenzione di Dublino, attraverso l’aggiornamento del tanto contestato Regolamento di Dublino III , o regolamento UE n°604/2013. Su questo argomento la discussione è stata infuocata poichè alcuni paesi – Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Polonia – hanno dichiarato apertamente la loro indisponibilità

alla discussione ed una decisa opposizione ad un meccanismo che preveda l’accettazione di quote obbligatorie di rifugiati per tutti gli stati membri. Sembra poi

essere particolarmente netta la posizione del Belgio, che negli ultimi anni ha iniziato ad espellere cittadini stranieri, anche se originari di paesi UE, poichè

considerati un peso eccessivo per il welfare. Le espulsioni sono gradualmente aumentate, passando dalle 343 del 2010 alle 2.712 del 2013. 
Sul fronte opposto troviamo tutti quegli Stati, in particolare quelli alla frontiera europea Sud/Sud-Est che, danneggiati dalla struttura del regolamento, ne chiedono

una forte revisione pretendendo un sistema di ricollocazione dei migranti basato su quote obbligatorie ed eque. Nel mezzo, su posizioni più variegate, si attestano

tutti quei paesi che al momento riconoscono l’inadeguatezza di alcuni aspetti del Regolamento di Dublino III e che hanno acconsentito volontariamente, in misura

più o meno consistente, all’ingresso di rifugiati rispondenti a determinati requisiti. In certi casi aprendo a categorie di persone con vulnerabilità come i minori non accompagnati, oppure consentendo l’accesso a intere nazionalità, come nel caso dei siriani.

Colpiscono le politiche piuttosto schizofreniche del governo tedesco, passato dalla sospensione del Trattato di Shengen a dichiarazioni a favore di un sistema

di quote volontarie, alla sospensione del Regolamento di Dublino III dello scorso agosto, all’affermazione del cancelliere Angela Merkel del 7 ottobre 2015,

che ha dichiarato che Germania e Francia ritengono che l’attuale Regolamento di Dublino sia ormai superato e che sia necessario impegnarsi per nuove

procedure; sostenendo al tempo stesso un’apertura ai soli rifugiati e non ai lavoratori, pensando forse che i beneficiari del diritto di asilo non debbano lavorare.


È interessante accennare a pochi altri esempi tipo, figli di strategie di risposta diametralmente opposte, che lasciano intendere quanto siano distanti le posizioni

in seno all’Europa. Da un lato, il governo ungherese ha adottato delle linee politiche assolutamente restrittive e lesive della dignità umana; per porre fine agli

ingressi dei migranti, che in estate sono arrivati a contare le 1.500/3.000 persone al giorno, il governo di Orban ha scelto di innalzare una barriera tesa a bloccare

i flussi alla propria frontiera con la Serbia; tale muro, che come sappiamo non è l’unico in Europa, è stato successivamente ampliato ai confini con la Croazia e

con la Slovenia. Lungo il confine l’esercito minaccia con la sua presenza chiunque tenti di forzare l’ingresso. I fortunati a cui viene consentito di entrare vengono letteralmente deportati. Senza particolari forme di assistenza nè spiegazioni, stipati a forza dentro quei treni che attraverseranno il paese e li lasceranno al confine opposto, a pochi chilometri dall’Austria. Tutti gli altri sono costretti a rimanere al confine, frustrati e bloccati, a vedere entrare pochi di loro scelti sulla base di

non si sa bene cosa, ad attendere la scadenza del proprio permesso di ingresso e cadere poi nell’iregolarità.


Completamente opposta è la linea svedese, che rappresenta uno dei migliori esempi di politiche di integrazione. Non a caso la Svezia è il secondo paese europeo

per numero di richieste di asilo ed il primo paese per acquisizioni di cittadinanza, che nel 2014 sono risultate essere pari al 7.6% degli stranieri residenti. Tuttavia, anche questo sistema inizia a mostrare delle criticità a causa dell’incremento dei flussi; dunque il governo negli ultimi mesi è stato costretto a limitare la consueta permissività, conseguenza non sorprendente, è stato il primo arrivo di migranti irregolari. Inoltre, in Svezia come in tutti i paesi europei, alla crescita del fenomeno migratorio si è accompagnato un crescente atteggiamento di chiusura da parte dei media, dei partiti e dei gruppi politici che si è riflesso nell’aumento

dell’intolleranza, dei sentimenti xenofobi, dei populismi e degli episodi a sfondo razzista.


Tale situazione è l’ennesima dimostrazione dell’urgenza di riforme ed è utile a sollevare un’ulteriore criticità, a livello di percezione e di rappresentazione, che le politiche europee dovranno risolvere per far comprendere a pieno alla popolazione, la natura del fenomeno di fronte al quale ci troviamo.

È chiaro che senza una riforma strutturata e lungimirante delle norme di accesso al territorio europeo, la situazione diventerà sempre più ingestibile e si verranno

a creare sempre maggiori spazi di illegalità caratterizzati dall’assenza di tutele, in cui i trafficanti e tutti coloro che guadagnano dalle tratte trovano terreno fertile

per prosperare. Dunque si fa sempre più urgente una presa di posizione coraggiosa volta ad abbracciare tutte le questioni che i flussi sollevano, con l’obbiettivo

di creare in primis sicurezza, legalità, accettazione, tutela ed equità; in secundis integrazione e cooperazione con i paesi di origine dei flussi.
Per utilità è opportuno chiarire che in questa fase particolarmente confusa, in cui la normativa inerente al “Sistema Dublino” è formalmente in vigore ma viene considerata superata, esiste la possibilità per gli stati membri di esaminare le domande di protezione internazionale ricevute, anche se formalmente al di fuori

della propria competenza; a questi stessi stati è richiesto di inserire, come in tutti gli altri casi, le impronte digitali dei migranti nella banca dati europea ed in

caso di riconoscimento del diritto di asilo, tali stati dovranno impegnarsi a rilasciare i permessi di soggiorno per il proprio territorio.
Infine, a causa della perplessità suscitata da tale proposta, viene riportato un disegno di legge del governo danese, nel quale si propone di espropriare i rifugiati

dei loro eventuali beni di valore, da considerarsi come un obolo per il diritto di asilo. Ogni rifugiato, secondo tale concezione, non dovrebbe possedere beni per

un valore superiore ai 1.500 €, così da essere in linea con i cittadini danesi che possono beneficiare dell’assistenza dello stato.

 

Un altro tema particolarmente pressante, legato alla politica della prima accoglienza, è la distinzione tra migranti economici e richiedenti protezione internazionale.

Tutti i provvedimenti dell’UE verso i migranti, si intendono riservati ai richiedenti asilo ed ai titolari di una delle diverse forme di protezione internazionale

(rifugiati, titolari di protezione sussidiaria, titolari di protezione umanitaria). Negli altri casi, salvo piccole ed insignificanti eccezioni, non esistono mezzi legali per arrivare e risiedere in Italia e in Europa, quindi non esiste altra scelta che ricorrere a viaggi di fortuna, al di fuori della tutela delle leggi. Anche questo aspetto

dunque, ci riconduce al già toccato tema dell’illegalità; le morti, le tratte, gli sfruttamenti e i tanti aspetti drammatici e disumani emersi nel corso dell’ultimo

periodo sono riconducibili all’illegalità e all’assenza di tutele imposta in ultima istanza dai governi di molti paesi europei. 
Inoltre la distinzione migranti economici – richiedenti asilo non è che un procedimento teorico poichè nella pratica, denunciano gli esponenti di numerose Ong

operanti nelle aree di arrivo dei migranti, è impossibile stabilire differenze e categorizzare delle persone che approdano finalmente all’estrema periferia europea,

dopo aver abbandonato tutto, aver perso qualsiasi documento di riconoscimento ed aver rischiato la vita nel progetto migratorio. Un individuo che affronta tale esperienza, che rischia la vita sua e dei propri figli, non ha scelta. Come può, tale persona, non essere considerata degna di chiedere protezione? E sulla base di

quale “giudizio equo” può essere possibile stabilire se si tratta di un profugo o di un migrante economico? Infine, un profugo non aspira comunque a ricostruirsi

una vita dignitosa e lavorare? Va per questo considerato anche lui un migrante economico? Le obiezioni possibili e le conclusioni che possono scaturire sono

molte, ad ogni modo, su questa dicotomia fondamentale si basa l’attuale risposta europea agli arrivi dei migranti. La prima reazione dunque, non sembra essere

di tipo umanitario e solidale, piuttosto, l’Europa sembra preoccuparsi di stabilire sin da subito chi tra questa massa disperata sarà così “fortunato” da essere

degno di chiedere protezione internazionale. Tale sistema, realizzato nel noto “Approccio Hot Spot”, è stato ufficialmente istituito per stabilire velocemente la

posizione giuridica dei migranti, facilitarne le ricollocazioni nei paesi membri ed organizzare i rimpatri di coloro a cui non è stato riconosciuto il diritto di asilo;

chi viene inquadrato nella categoria dei migranti economici riceve un decreto di respingimento differito di espulsione. In Italia, il primo centro Hot Spot è stato ovviamente istituito a Lampedusa ed altri sono in via di completamento; al momento altri centri funzionanti si trovano in Grecia.

Dunque l’Europa dovrebbe rivedere diversi elementi cardine della nuova strategia politica. Dovrebbe uscire da questa strada normativa che sembra fabbricare illegalità, piuttosto che elementi risolutivi delle tante criticità. Gli ultimi sviluppi dimostrano quanto sia impossibile rispondere alle conseguenze della nuova

congiuntura internazionale con politiche superficiali, volte a salvare la faccia e creando al tempo stesso gli escamotage per continuare a tentare di impedire

gli ingressi. I consistenti flussi che stanno attraversando il Mediterraneo ed i Balcani sono conseguenze di mutamenti geopolitici importanti e continueranno a

riproporre criticità simili; il trend degli ultimi anni indica chiaramente che i processi migratori sono uno dei tanti aspetti della globalizzazione, non ci si può

aspettare che questi cessino naturalmente. Gli equilibri stanno cambiando e l’Europa deve prenderne atto, intraprendendo un percorso politico coraggioso

e di lungo periodo. La comunità europea dovrebbe riconoscere che i migranti assicurano al contesto europeo un importante supporto demografico e occupazionale.

Gli stranieri costituiscono un grande stimolo per ripensare una società interculturale e interreligiosa, curiosa e stimolante, patria dei diritti e della tutela degli

individui, inclusiva piuttosto che esclusiva. Integrare non significa altro che prendere coscienza di vivere in un mondo globalizzato. 

Infine, per rispondere positivamente alla congiuntura attuale, l’UE dovrebbe sviluppare una politica estera improntata al sostegno e alla cooperazione,

contenendo i conflitti, superando il terrorismo e stabilendo un impegno concreto nella ricostruzione dei paesi distrutti e nella creazione di nuove opportunità

nei paesi esterni. In questo progetto i profughi verrebbero ulteriormente valorizzati; essi rappresenterebbero quell’anello fondamentale, individuale e

quotidiano, di integrazione, connessione e mescolanza tra l’Unione Europea ed i paesi terzi. Una visione di questo tipo aprirebbe infinite possibilità di crescita

culturale ed economica su entrambe le sponde del Mediterraneo.

 

 

 

 

 

 

 

   

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