Cittadini italiani ?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

G2, le Seconde generazioni

 

 

 

 

Nati e cresciuti in Italia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

POLITICA INTERNAZIONALE E DELLE MIGRAZIONI

Corso di Laurea magistrale in Storia e società  2019/2020

 

Integrazione, cittadinanza, ius soli 

 

La situazione attuale sembrerebbe trasmettere l’immagine di un mondo in cui tutto si tiene, in cui tutto si può ritrovare: il villaggio globale.

Eppure esistono ancora differenze e discriminazioni. L’Educazione alla cittadinanza globale è quella che cerca di andare verso una

globalizzazione che sia inclusiva invece che esclusiva; che vede la mondializzazione come un processo che può mettere a rischio proprio

il diritto alla diversità: e deve invece tener conto delle differenze e contemporaneamente mettere chi si trova in difficoltà in condizione di

partire dalle stesse condizioni degli altri. E’ come la democrazia: se c’è una persona che non è libera, nemmeno tutti gli altri sono liberi.

La democrazia o è inclusiva o non è.

 

INTERCULTURA O SCONTRO DI CULTURE?

Abbiamo parlato in questi termini perché proprio mentre ragioniamo di intercultura sembra essere in atto uno “scontro di civiltà” e il nostro paese forse manderà

i suoi soldati a combattere contro gli islamisti. L’espressione “clash of civilisations” è stata coniata alla fine degli anni 90 prima in un articolo poi in un libro da

Samuel Huntington, che è uno studioso di strategia militare di formazione sociologica. Questo articolo proponeva uno scenario, una tendenza, un’interpretazione

della situazione internazionale che si basava proprio sullo scontro di civiltà. In realtà si tratta di uno schema grossolano, che parte dall’individuazione di 8 grandi

civiltà, individuazione grottesca perché presenta delle incongruenze evidenti, consistenti in grandi sintesi culturali che non hanno nessuna verosimiglianza.

Huntington tratteggia un quadro in cui primeggia l’Occidente, con le sue radici giudaico-cristiane, che si confronta con le altre civiltà; sostenendo che la dialettica

non è più tra gli stati-nazione o tra grandi regioni politiche (est/ovest), ma si sta organizzando su elementi culturali, su confronti tra culture. In quest’ottica

interpreta alcuni conflitti degli anni 80 e 90, come la guerra nell’ex-Jugoslavia, dove la matrice sembrava etnica e culturale.


Questa interpretazione ha avuto fortuna perché alcuni conflitti ( Balcani e Ruanda) sembravano riflettere questa analisi, salvo poi approfondire il tema e

analizzare le cause storiche degli scontri. Oggi si ritiene che il grande conflitto – parlando dell’attacco alle Torri, delle guerre in Afghanistan e Iraq, degli

scontri in Siria - sia tra Occidente e Islam: e questa interpretazione del conflitto come scontro di civiltà è condivisa soprattutto da quanti nei due schieramenti

fanno riferimento a forme di fondamentalismo religioso. Questa lettura, che non convince affatto, sembra estremizzare alcuni dati della questione, trascurando

il fatto che esistono anche altri importanti fattori: ma è molto diffusa, e trova autorevoli sostenitori.
Nello stesso tempo anche una realtà piccola e provinciale come l’Italia, da una trentina di anni, si è trovata a doversi confrontare con la presenza di nuove

culture, nuovi colori, nuovi valori, nuove lingue (cfr. anche il simpatico racconto "Un pranzo multiculturale"); ciò è frutto della globalizzazione, della maggiore interdipendenza mondiale, e sembrerebbe far pensare ad una maggiore apertura verso la differenza: al contrario ci sono molte resistenze e molti elementi nella

nostra società che sembrano andare contro questa apertura. Il fenomeno del leghismo, del localismo, della chiusura identitaria, impensabile prima della

globalizzazione, nel contesto attuale trova una giustificazione storica come difesa verso un’apertura troppo veloce, un mondo troppo interconnesso e complesso,

che ci porta lontano dalle nostre radici.

In questo quadro il nostro modo di porre l’intercultura, soprattutto a livello pedagogico, appare inadeguato: nata come un approccio metodologico ai problemi

che si creano per la presenza di bambini stranieri nelle scuole, come apertura della cultura italiana ad altre culture, acquisizione di un punto di vista meno

etnocentrico, capace di vedere la diversità come arricchimento, ha finito spesso per limitarsi ad una folclorizzazione della diversità, o comunque ad un

ampliamento dei programmi che non ha inciso più di tanto nel curriculum scolastico. (cfr. il Catalogo interculturale)
Tutto questo oggi ci sembra inadeguato e sorpassato, anche perché viviamo in parallelo ad una radicalizzazione delle posizioni e ad una inadeguatezza culturale

sempre più evidente. Le gaffes di alcuni politici sulla superiorità dell’Occidente e l’incompetenza esibita dalla classe politica di tutti gli schieramenti sono

dimostrazioni allarmanti della mancanza di strumenti culturali in grado di fronteggiare una fase così difficile e decisiva per il futuro dei popoli.


Se c’è uno scontro, è scontro tra inciviltà, tra ignoranze e primitivismi reciproci. Pensare, per l’Iraq, di portare la democrazia in un paese che non si conosce

e senza appoggiarsi a quanti da decenni lavorano in questo senso, è soltanto colonialismo culturale. Parlare dei difficili rapporti con l’Islam, senza considerare

i musulmani che vivono in Europa gli interlocutori migliori per uno scambio interculturale, è vera e propria miopia.
Un professore di sociologia, esperto del mondo arabo, sottolineava recentemente la bizzarra simmetria tra la sofisticatezza delle armi dell’Occidente, e la

mancanza di conoscenza della cultura e della società contro cui si vuole combattere. Se anche al livello della classe dirigente delle grandi potenze mondiali il

livello di conoscenza è così basso, questo ci fa capire che c’è molto da fare, e con decisione.

Bisogna adoperarsi con molto impegno per compiere un grande salto di qualità: e costruire un paese, e una società civile, in cui l’opinione pubblica e i suoi

leader abbiano una diversa consapevolezza di questi temi e acquisiscano gli strumenti indispensabili per una analisi adeguata di fenomeni come la globalizzazione, l’interdipendenza, l’immigrazione, la società multiculturale. Oltretutto in questi anni abbiamo assistito ad uno sdoganamento del discorso dell’odio (hate speech),

del negazionismo, dell’intolleranza, che permette di diffondere idee e dottrine apertamente razziste, senza correre alcun rischio; prima nessuno si sarebbe

sognato di proporre misure di apartheid come i vagoni separati per gli stranieri, adesso chi lo fa non viene nemmeno perseguito, sebbene ci siano apposite leggi.
Occorre trovare dei punti di riferimento ben saldi per combattere queste tendenze e tornare ad un confronto civile: cominciando anche a ripensare certe forme

un po’ blande di sensibilizzazione interculturale attuate finora. Serve un impegno coraggioso e costante, sia nel mondo dei media che in quello, decisivo, della scuola.

 

Bibliografia inerente l'integrazione sociale e scolastica:

• Le seconde generazioni e le politiche per la scuola osservazioni e proposte, CNEL, Roma 2008
• La migrazione educativa: extracomunitari e formazione, R. Massa, P. Mottana, A. Rezzara, M. G. Riva, I. Salomone, Milano, Unicopli, 1994
• L’integrazione sociale e scolastica degli immigrati in Europa e in Italia, Serena Sani, Lecce, Pensa multimedia, 2012
• Gli immigrati: integrazione scolastica, attese rispetto al lavoro: le valutazioni del Cnel, CNEL, Roma 2008
• Le seconde generazioni, Agenda Nonsolonero, 2008
• Roma-Italia dimensione transcontinentale dell’immigrazione. Gruppi nazionali tra percorsi di inserimento e legami con i paesi d’origine, Idos, 2015
• Il valore della diversità nell’Italia multietnica, Ciancio B., Angeli, 2014
• Seconda generazione: un’introduzione al futuro dell’immigrazione in Italia, Fondazione G.Agnelli, 2004

(Cfr. anche Bibliografie tematiche)

 

Le Comunità straniere nei Rapporti ministeriali

I Rapporti 2018: cfr. documento aggiornato


I Rapporti 2017:

Comunità albanese

-Rapporto
-Sintesi

-Sintesi ENG

Comunità filippina

-Rapporto
-Sintesi

-Sintesi ENG

Comunità peruviana

-Rapporto
-Sintesi

-Sintesi ENG - ESP

Comunità bengalese

-Rapporto
-Sintesi

-Sintesi ENG

Comunità indiana

-Rapporto
-Sintesi

-Sintesi ENG

Comunità senegalese

-Rapporto
-Sintesi

-Sintesi ENG - FRA

Comunità cinese

-Rapporto
-Sintesi

- Sintesi ENG

Comunità marocchina

-Rapporto
-Sintesi

-Sintesi ENG - FRA

Comunità srilankese

-Rapporto
-Sintesi

-Sintesi ENG

Comunità ecuadoriana

-Rapporto
-Sintesi

-Sintesi ENG - ESP

Comunità  moldova

-Rapporto
-Sintesi

-Sintesi ENG

Comunità  tunisina

-Rapporto
-Sintesi

-Sintesi ENG - FRA

Comunità egiziana

-Rapporto
-Sintesi

-Sintesi ENG

Comunità pakistana

-Rapporto
-Sintesi

-Sintesi ENG

Comunità  ucraina

-Rapporto
-Sintesi

-Sintes ENG

Le

Vedi anche Le comunità straniere in Italia tra inserimento e esclusione e Analisi delle principali Comunità

 

 

LE SECONDE GENERAZIONI

Secondo alcuni studiosi, gli immigrati di seconda generazione rappresentano “una bomba sociale a scoppio ritardato”: producono uno sviluppo delle interazioni,

e a volte dei conflitti tra popolazioni immigrate e società ospitante; obbligando a prendere coscienza di una trasformazione irreversibile nella geografia umana

e sociale dei paesi in cui avvengono. L'integrazione delle seconde generazioni rappresenta quindi non solo un nodo cruciale dei fenomeni migratori, ma anche

una sfida per la coesione sociale e un fattore di trasformazione delle società riceventi.
Interrogarsi su quelle che si suole definire G2, dal nome che si è data una delle reti più attive e vivaci di giovani figli dell’immigrazione, diventa un luogo

privilegiato per discutere del futuro delle nostre società, del nuovo volto che stanno assumendo, nonché della produzione di inedite identità culturali, fluide,

composite, negoziate quotidianamente, in un incessante bricolage di tradizionale e moderno, di elementi trasmessi dall'educazione familiare ed elementi

acquisiti nella socializzazione extra-familiare.


Questi ragazzi – come è stato scritto – spesso si sentono ancora abitanti di una terra di nessuno: sanno ben poco dei paesi di provenienza, e non si vedono

pienamente accettati come cittadini italiani. Angoscia, frustrazione e disagio vissuti dal passaggio di questi giovani all’età adolescenziale è evitabile se hanno

la possibilità di vivere in contesti che li aiutino allo sviluppo di identità plurime e che aiutino gli italiani a rendersi conto della ricchezza che questa realtà

comporta: la scuola per prima attraverso l’educazione interculturale, ma anche la società, devono operare per realizzare un’educazione interculturale per

gli adulti, indispensabile per un buon dialogo tra le culture.
( Cfr. anche "Sono italiano")

 


LO IUS SOLI

L’ultima legge sulla cittadinanza, introdotta nel 1992, prevede un’unica modalità di acquisizione chiamata ius sanguinis (dal latino, “diritto di sangue”): un

bambino è italiano se almeno uno dei genitori è italiano. Un bambino nato da genitori stranieri, anche se partorito sul territorio italiano, può chiedere la

cittadinanza solo dopo aver compiuto 18 anni e se fino a quel momento abbia risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente”. Questa legge è da tempo

considerata carente: esclude per diversi anni dalla cittadinanza e dai suoi benefici decine di migliaia di bambini nati e cresciuti in Italia, e lega la loro condizioni

a quella dei genitori (il cui permesso di soggiorno nel frattempo può scadere, e costringere tutta la famiglia a lasciare il paese).

La nuova legge introduce soprattutto due nuovi criteri per ottenere la cittadinanza prima dei 18 anni: si chiamano ius soli (“diritto legato al territorio”)

temperato e ius culturae (“diritto legato all’istruzione”).
Lo ius soli puro prevede che chi nasce nel territorio di un certo stato ottenga automaticamente la cittadinanza: ad oggi è valido ad esempio negli Stati Uniti,

ma non è previsto in nessuno stato dell’Unione Europea. Lo ius soli “temperato” presente nella legge presentata al Senato prevede invece che un bambino

nato in Italia diventi automaticamente italiano se almeno uno dei due genitori si trova legalmente in Italia da almeno 5 anni. Se il genitore in possesso di

permesso di soggiorno non proviene dall’Unione Europea, deve aderire ad altri tre parametri:
– deve avere un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale;
– deve disporre di un alloggio che risponda ai requisiti di idoneità previsti dalla legge;
– deve superare un test di conoscenza della lingua italiana.
L’altra strada per ottenere la cittadinanza è quella del cosiddetto ius culturae, e passa attraverso il sistema scolastico italiano. Potranno chiedere la

cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato

almeno un ciclo scolastico (cioè le scuole elementari o medie). I ragazzi nati all’estero ma che arrivano in Italia fra i 12 e i 18 anni potranno ottenere la

cittadinanza dopo aver abitato in Italia per almeno sei anni e avere superato un ciclo scolastico.

 

 

 

 

 

 

   

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